Ostra Vetere: Il sepolcro senigalliese del conte di Montenovo |
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Venerdì 19 Luglio 2013 22:31 |
Non lo sapevamo. Ammettere di non sapere non significa essere in colpa. Davvero non sapevamo che duecento anni fa ci fosse stato qualcuno che si fregiava del titolo di “conte di Montenovo”. Un titolo di questo genere dovrebbe sottintendere l’attribuzione di poteri comitali, cioè amministrativi e giurisdizionali, su un territorio ben preciso. Ma Montenovo da quasi novecento anni ha goduto della libertà, seppure soggetta allo Stato della Chiesa, da cui dipendeva direttamente e non per il tramite di un altro potere intermedio, se non delegato a titolo di vicarìa o di luogotenenza. E quindi non solo non sapevamo che ci fosse un “conte di Montenovo”, ma nemmeno potevamo pensare che ci fosse. Invece sembra non essere così: a rivelarci la notizia un libro, scritto dal giornalista senigalliese Piero Maria Benedetti, già funzionario comunale e poi in pensione, che lo scrisse una decina di anni fa. Si intitola “Il Sepolcro del Conte, un ricordo di Adolfo Ghreradi-Benigni”, che venne editato
dall’Amministrazione Comunale di Senigallia ripristinando una bella tradizione culturale che aveva prodotto una collana di agili testi curati dal compianto professore Sergio Anselmi, tutti, come quest’ultimo stampati proprio dalla Tecnostampa Edizioni di Ostra Vetere nel 2003. Leggerlo è stata davvero una sorpresa. Anzi, due sorprese: la prima l’abbiamo già detta ed è quella del “conte di Montenovo” Ermenegildo Gherardi Benigni, da cui il figlio Ludovico, il nipote Nicola e il pronipote Adolfo, che nacque però a Senigallia il 17 dicembre 1847. In realtà il “conte di Montenovo” dovrebbe aver vantato quel titolo in virtù del suo matrimonio: aveva infatti sposato Maddalena Mauruzi della famiglia dei conti della Stacciola, che erano anche marchesi (non conti) a Montenovo. Da qui il titolo. Mentre il lontano discendente Adolfo era sì conte, ma aveva perso strada facendo l’inesistente lignaggio di feudalità montenovese. A quest’ultimo, morto giovanissimo appena ventiduenne nella villa patrizia del Ghiretto di Ostra il 22 agosto 1870 lasciando tutti i suoi ingenti beni ad un’omonima opera pia affinchè provvedesse a sostenere gli studi di alunni poveri, ma meritevoli, la stessa Opera Pia Gherardi dedicò venticinque anni dopo uno splendido monumento funebre nel cimitero maggiore delle Grazie a Senigallia: il “sepolcro del conte”. E’ questa la seconda sorpresa: l’esplicazione più alta del culto tributato al defunto. Per realizzare quell’opera monumentale venne bandito un concorso nazionale fra centinaia di artisti che presentarono interessanti progetti, fra i quali una apposita Commissione scelse quello dello scultore Elmo Palazzi di Città di Castello. Il monumento funebre venne quindi realizzato fra il 1904 e il 1912. Oggi è ancora al suo posto, è ritenuto il più bello del cimitero e l’unico, tra quelli di proprietà pubblica, a essere sempre adorno di fiori e piante. Colpisce la sua ambientazione scenografica, caratterizzata dai secolari cipressi che lo circondano, nonché il suo livello artistico, dominato da una statua bronzea di un giovane assorto in meditazione: il conte Adolfo Gherardi-Benigni come ancora l’artista ce lo ricorda a quasi un secolo e mezzo dalla sua morte prematura. Il sepolcro di marmo e di bronzo commemora ancora oggi il conte Adolfo Gherardi-Benigni, mentre niente ci ricorda più il suo bisnonno Ermenegildo “conte di Montenovo”. Tanto salda è la prima memoria grazie al monumento, tanto labile ed evanescente la seconda notizia. E’ proprio vero che le cose che durano sono salde come la roccia. Può venirci una lezione da tutto questo? Certo che si: la memoria dei defunti va onorata e tramandata. Loro sono il fondamento del nostro presente e noi saremo a fondamento del futuro di chi verrà dopo. E’ la storia del mondo che si rinnova, che non avrà una storia futura se non conserverà la memoria del passato, perché un popolo senza memoria del passato non ha alcun futuro.
Alberto Fiorani |