Castelleone di Suasa: Ieri sera la presentazione del libro “C’era una volta Castelleone” |
Mercoledì 05 Agosto 2015 19:27 |
Come annunciato, ieri sera a Castelleone di Suasa si è tenuta la presentazione del libro di Vincenzo Fermi intitolato "C'era una volta Castelleone. Un'unica casa per tutti", dedicato a tutti i castelleonesi passati, presenti e futuri. Al libro è premessa una introduzione del direttore del nostro giornale "Gazzetta dj" Alberto Fiorani, presidente del Centro di Cultura Popolare di Ostra Vetere. Ecco quanto aveva scritto nella presentazione: “C’era una volta Castelleone …” è titolo sognante, lieve, da fiaba sospesa nel tempo e nella memoria. Aleggia morbido sul fluire dei ricordi del tempo che fu. Appunto, c’era una volta. Quando una quarantina d’anni fa (era, appunto, una volta), insieme agli amici che nei momenti d’ozio (una volta ci si poteva permettere anche questo) tutti insieme frequentavamo il “bar del Tarugo” a Ostra Vetere (anche questo c’era una volta) fra le quattro (e forse più) chiacchiere che ci scambiavamo, sorseggiando il caffè preparato
con impareggiabile maestria professionale dal barista Vincenzo (lui silenziosamente impettito e premurosamente sollecito, noi in po’ più chiassoni e svagati, per niente compunti), capitava talvolta di raccontarci le “storie” del paese, gli aneddoti e le curiosità locali. Insuperabile maestro in quest’arte della memoria era lo stesso Tarugo, Franco Segoni. Così, giovani sfaccendati, apprendevamo la complessa realtà paesana, così come ci era stata tramandata dalla memoria e dalla saggezza di quanti ci avevano preceduto, chissà quanti decenni e secoli prima. Era bello, allora, trascorrere il tempo così, con i racconti di “c’era una volta …”. Così avevo titolato, infatti, anche alcuni articoletti scritti per una modestissimo giornale mensile locale ciclostilato, intitolato “Il Coteno” e redatto a partire dagli ultimi anni ‘Sessanta, dagli universitari riuniti nella rinnovata “Accademia dei Rinnovati”, vecchia di quattrocento anni almeno, che voleva continuare a tessere il filo di seta della memoria paesana, quello stesso filo di seta del baco nel bozzolo che costituiva l’emblema della nostra “accademia”. Il bisogno di rammentare le “storie di una volta”, di farle rivivere nel quotidiano, ma anche nel futuro immaginato luminoso e disincantato, che intuivamo ugualmente desideroso di conservare la memoria patria, nonostante i vorticosi cambiamenti epocali della società dei consumi ormai galoppante, decidemmo di dare vita ad una nuova associazione culturale che custodisse e conservasse i ricordi di un tempo, prima che svanissero dalla memoria di troppi, se non di tutti. Nacque così il “Centro di Cultura Popolare”, che si mise a raccogliere alacremente le memorie patrie e che provvide a “promuovere la tutela ed il recupero dei valori e del patrimonio artistico, architettonico, archeologico, ambientale, culturale, folcloristico, religioso, storico, ideale oltre che il complesso della tradizione parlata, narrata, cantata e danzata della civiltà popolare della valle del fiume Misa e dei luoghi limitrofi”, come è scritto nell’articolo 4 dello Statuto. E così da allora ha operato, in questi quarant’anni, con una serie di iniziative diverse, con visite guidate, mostre, conferenze e dibattiti, creando la prima televisione privata del comprensorio, con lo studio sistematico del dialetto locale, con la redazione di una collana di testi storici, redigendo ricerche sull’onomastica e sulla toponomastica, pubblicando biografie dei nostri uomini illustri e no, ripubblicando vecchi volumi di storia locale ormai introvabili, editando un giornale cartaceo e on-line, divulgando vecchie foto del paese, collezionando memorie e documenti. Un lavoro certosino a difesa della storia civile e culturale del paese e di tutto il territorio intervallivo e regionale. Scopriamo adesso che tutte queste cose che il Centro andava facendo cercando di farle pubblicamente conoscere, altrettanto silenziosamente e premurosamente le andava raccogliendo e conservando anche il barista di quarant’anni fa del bar del Tarugo, l’inossidabile Vincenzo Fermi, i cui ricordi, le cui ricerche, le cui indagini sociologiche ce le serve ora, come allora silenziosamente impettito e premurosamente sollecito, a proposito del suo paese, con questo volume impareggiabile: “C’era una volta Castelleone”. Ho detto del “suo paese”, che è un po’ anche mio: è da qui che venne mia nonna paterna, andata sposa a mio nonno. Storia, una delle tante, di un tempo che fu, che “c’era una volta …”. “E che c’è ancora”, viene da dire a noi, “perché niente andrà perduto” di tutto quello che lui, Vincenzo, ha raccolto silenziosamente e premurosamente, con la stessa attenzione lieve e impeccabile di un tempo (c’era una volta, e ancora c’è), e che ora consegna al giudizio dei lettori in questo volume. “La modernità ha cancellato gran parte di quello che un tempo si poteva definire un’unica casa per tutti”, tiene a precisare Vincenzo Fermi, dedicando la sua opera “ai suoi genitori e a tutti i castelleonesi passati, presenti e futuri”, dice ancora lui. Poteva esserci in quei compaesani “passati, presenti e futuri” migliore destinazione finale e imperitura, soggetti del senso della vita che trascorre, ma che si rinnova sempre, anche se cambiano gli attori, ma la rappresentazione rimane sempre uguale al suo disegno trascendente: nascere, crescere e scomparire, per poi tornare a rinascere a perpetuare un ciclo della vita che non muore mai, se solo sapremo fare tutti come ha fatto Vincenzo Fermi: raccogliere, conservare, divulgare seminando, perché altri possano raccogliere e continuare il ciclo? E’ storia. E’ la storia. E’ l’eternità. Quella che ci consegna Vincenzo Fermi con questo volume singolare e plurale. Singolare certo, perché non si era mai visto prima un libro così. Per come è fatto, per come è scritto, per quanto ci fa sognare, ricordando: personaggi, immagini, scorci, quadretti incantati, ricordi lievi e festosi, commenti sognanti scritti con un carattere tipografico impensabile, da amanuense assorto e accorto. Così si magnifica l’anima intima di una comunità serena e quotidiana. Plurale perché sa dare voce a tutti, anche alle cose più piccole e nascoste. Quelle che sfuggono troppo spesso a noi, uomini in lotta contro il tempo che non basta mai. Che non consente più di guardarsi intorno, perché la vita scorre frenetica verso una destinazione altra. Che non lascia più spazio a nient’altro che il futuro e rischia così di perdere la memoria del passato. E’ tutta così frenetica la vita di oggi tesa al domani, tanto che pare aver dimenticato ogni lezione che la storia, anche quella minuta, sa insegnare solo a chi ha occhi anche per il passato e ha cuore per la propria terra e per le sue radici. Proprio tutto quello che ci ha voluto insegnare ora meravigliosamente Vincenzo, raccontando sognante i ricordi di ieri, perchè ci servano a fondamento del nostro futuro, lasciandoci in bocca il sapore dolce e odoroso del caffè che ci serviva, silenziosamente impettito e premurosamente sollecito, quarant’anni fa. Alberto Fiorani Presidente del Centro di Cultura Popolare".
da Centro Cultura Popolare |
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