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Home Centro Cultura Popolare Comunicati Ostra Vetere: La scheda redatta da Alberto Fiorani per le formelle esposte alla mostra “Lacrime di smalto”
Ostra Vetere: La scheda redatta da Alberto Fiorani per le formelle esposte alla mostra “Lacrime di smalto” PDF Stampa E-mail
Sabato 12 Aprile 2014 16:14

La scheda redatta da Alberto Fiorani per le formelle esposte alla mostra Lacrime di smaltoIl Centro di Cultura Popolare pubblica la scheda redatta dal presidente Alberto Fiorani per l'esposizione delle due formelle quattrocentesche della Natività e della Deposizione del santuario del Santissimo Crocifisso di Montenovo alla Mostra senigalliese "Lacrime di smalto: "La chiesa del Santissimo Crocifisso di Ostra Vetere, l’antica Montenovo, non ha mai suscitato grande attenzione nemmeno nella storiografia locale. Soltanto tre autori antichi se ne sono occupati: il vescovo senigalliese fra’ Pietro Ridolfi nella “Historiarum libri duo” del 1596, il teologo e storico montenovese don Pietro Paolo Brunacci nella “Historia d’Ostra e Monte Novo” del 1688-1703 e il sostituto notaio vescovile Bernardino Montanari nelle “Croniche delle Chiese, Benefici ed Altro” del 1808-1815. Tuttavia una brevissima sintesi delle notizie storiche da loro raccolte è contenuta nell’itinerario artistico di Ostra Vetere a cura di Raoul Mancinelli nell’opuscolo “La Collezione d’arte di Santa Maria di Piazza in Ostra Vetere” edito dalla Cassa Rurale ed Artigiana nel 1984, poi trascritta anche nella monumentale opera di monsignor Angelo Mencucci, “Senigallia e la sua Diocesi. Storia Fede Arte”, edito dall’Editrice Fortuna di Fano dieci anni dopo, nel 1994. Solo negli anni recenti altri quattro autori se ne sono interessati più diffusamente: Renzo Fiorani nel volume monografico dedicato a “Il pittore Giovambattista Lombardelli detto Montano”, edito dal Centro di Cultura Popolare nel 1992, l’ingegnere Francesco Fiorani nella sua “Iconostasi nella chiesa del Santissimo Crocifisso”, parimenti edito dal Centro di Cultura Popolare nel 2007, e Alberto Fiorani nel suo “L’enigma di un santuario dismesso: il Santissimo Crocifisso di Montenovo”, in corso di edizione sempre a cura del Centro di Cultura Popolare e da cui è tratta questa scheda, infine i curatori della mostra “Lacrime di smalto. Plastiche maiolicate tra Marche e Romagna nell'età del Rinascimento” che si tiene dal 12 aprile al 31 agosto 2014 presso la Rocca Roveresca, organizzata dal comune di Senigallia con la collaborazione di Regione Marche e Diocesi di Senigallia, per la parte che vi si riferisce. Questa sostanziale modestia di interesse sembrerebbe il destino comune di tanti luoghi di culto minori, un tempo venerati e ormai caduti nel disinteresse generale. Ma non è così, perché, a parte le vicende storiche narrate dalla prima triade di autori antichi, sono soprattutto i tre recenti omonimi a focalizzare aspetti peculiari e singolari di questa chiesa, anzi “chiesetta” come un improvvido cartello stradale la chiama, del Santissimo Crocifisso di Montenovo, che invece meriterebbe ben ulteriori approfondimenti rispetto alle poche notizie condensabili in questa succinta scheda. E la particolarità dei suoi aspetti singolari sono già ben evidenti fin dai titoli delle loro opere: il “pittore” con le sue “pitture”, l’“iconostasi”, l’“enigma” e le “plastiche maiolicate”. Nessuna di queste quattro singolarità ha mai destato l’interesse degli autori antichi, né vengono citate nelle loro opere, ad eccezione del pittore Lombardelli e delle sue pitture, eppure esse sono fondamentali per approfondire la conoscenza di questa chiesa, il cui carattere principale, avvertibile fin già dall’esterno, è quella di essere non “una”, bensì “tre chiese” contemporaneamente, pur essendo talmente piccola che la stessa Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici delle Marche, nel compilare il 24 settembre 1983 gli elenchi degli edifici di interesse monumentale formalmente tutelati ai sensi delle leggi 363/1909 e 1089/1939, ha continuato a denominarla impropriamente “chiesetta”. Non lo è, trattandosi di un tempio sacro di ben rilevante interesse artistico-architettonico, storico-culturale e sociale-istituzionale. E’ infatti un’antica chiesa di giuspatronato pubblico della quale non conosciamo la genesi, ma solo gli sviluppi successivi, narrati dai tre autori antichi. Il vescovo senigalliese Ridolfi la cita come “De Oratorio S.mi Crucifixi. Ad centum passus positum est Oratorium Crucifixi de iurepatronatus Universitatis. collatio ad Capitulu. Lateranense, iurisdictio ad ep.m Senogalliensem spectat. fructus ecc.o tenues”. Troppo poco per poterne trarre qualche notizia di rilievo, salva la certa esistenza della chiesa alla fine del Cinquecento, la sua dipendenza dal Capitolo Lateranense e il giuspatronato pubblico su di essa esercitato dall’istituzione civile locale. Molto più articolata è invece la descrizione del Brunacci, che la descrive come “di molta diuotione p. esserui un Crocifisso dipinto à fresco molto miracoloso”, tanto da essere “beneficio della Communità alla quale il giorno di S.ta Croce di Settembre offeriua otto lib. di Cera” secondo tassative disposizioni degli Statuti comunali del 1596, “come anco ha l’elettione del d.o Rettore”: un santuario presidiato, quindi. Ma poi, fra le tante altre notizie che non è qui il caso di riportare, fornisce anche un’altra importante informazione: “Detta Chiesa consiste in tre Corpi. P.o è la Picciola Cappelletta d’otto palmi di larghezza al di dentro, e cinque di larghezza, doue stà dipinto il Crocifisso co la B.V. a destra, e S. Giouanni à Sinistra; alli lati destro S. Lucia al Sinistro S. Luca. tutta fattura Gotica, et antica”. Ecco la genesi della chiesa: una prima edicola stradale tre-quattrocentesca affrescata da buona mano e ritenuta talmente miracolosa da giustificare un suo inglobamento in un secondo corpo di fabbrica dotato di due altari laterali, un santuario vero e proprio, quindi, successivamente ampliata da un terzo corpo di fabbrica con altri tre altari laterali, ed infine completata da un quarto corpo di fabbrica occidentale del portico o “nartece”, oggi purtroppo non più esistente, ma che è documentato fino agli inizi del Settecento. Brunacci si diffonde poi a descrivere le pitture che tappezzano fittamente il secondo e il terzo corpo di fabbrica e anche il portico della chiesa, realizzate fra il 1568 e il 1574 dal pittore montenovese Lombardelli, del quale Renzo Fiorani ha scritto una interessante e puntuale biografia storico-artistica. Il Brunacci, però, non parla affatto né dell’“iconostasi”, oggetto dell’importante studio monografico dell’ingegnere Francesco Fiorani che ne ha focalizzato gli insospettati ed interessantissimi caratteri liturgici ortodossi, né delle “plastiche maiolicate” quattrocentesche, poste ora in mostra a Senigallia dopo il restauro effettuato nei decenni passati a cura della Soprintendenza di Urbino. Molte notizie storiche sulla chiesa e sui suoi rettori sono contenute nell’opera del Montanari, che però confonde addirittura la Madonna dell’edicola gotica con Maria Maddalena, nonostante l’evidente scritta dedicatoria nello scollo della veste. Probabilmente il Montanari non vide mai personalmente l’edicola, limitandosi a supposizioni da lui rinvenibili nei ponderosi volumi dei verbali delle Sacre Visite Vescovili, conservati presso la Curia diocesana senigalliese in cui esercitava la sua professione notarile. Oltre ai pesi di messe “pro anima” accollate fra il 1596 e il 1670 ai rettori, di cui fornisce gli elenchi fra una data imprecisata a metà del Cinquecento e il 1750, e ai titolari del Beneficio Massi ivi istituito fra il 1596 e il 1855 (le ultime registrazioni sono evidentemente di mano di un suo continuatore), si dilunga nell’elencazione dei beni dotali e degli istrumenti notarili delle donazioni, che dimostrano il consistente concorso di fedeli presso quella chiesa ormai assurta a santuario, officiato da ben due sacerdoti stipendiati. Ma nemmeno lui cita l’“iconostasi”, né le “plastiche maiolicate”, che sono invece le chiavi interpretative utilizzate da Alberto Fiorani per sciogliere i tanti “enigmi” che la chiesa del Santissimo Crocifisso di Montenovo pone all’attenzione di ogni avveduto osservatore. L’“iconostasi” studiata dall’ingegnere Francesco Fiorani è un evidente elemento liturgico di derivazione ortodossa, che in Oriente aveva conservato intatta una tradizione liturgica e architettonica caratteristica anche in Occidente fino al doloroso Grande Scisma del 1054, ma poi abbandonata. Non vi è alcun dubbio che la chiesa del Santissimo Crocifisso possa mai risalire, paleocristiana, a prima del Mille. E in ciò risiede il primo enigma: che cosa ci farà mai una chiesa con un successivo elemento liturgico-architettonico spiccatamente ortodosso in una sperduta località della Marca centrale, come Montenovo, fra ultimo Medioevo e primo Rinascimento?  La risposta giunge dallo studio di Alberto Fiorani. Le “plastiche maiolicate” quattrocentesche costituiscono un ulteriore stimolante enigma della chiesa. Definite “maioliche faentine”, sarebbero in realtà attribuibili ad artisti marchigiani di area urbinate, forse itineranti. Ma come sono finite a Montenovo non una, ma due formelle coeve e “firmate” dallo stemma feltresco? Sono il frutto di una committenza locale ed eseguite sul posto, o sono state prodotte per altro luogo sacro e qui trasferite successivamente, come potrebbe suggerire il silenzio delle fonti cinque-seicentesche? Ma il silenzio non può essere argomento dirimente, giacché lo stesso silenzio è stato opposto dalle medesime fonti anche per la coeva iconostasi, che non può che essere autenticamente locale. La risposta è contenuta nel lavoro di Alberto Fiorani, che scioglie questi e tanti altri numerosi enigmi sulla singolare chiesa “ortodossa” del Santissimo Crocifisso, sulla scorta di copiosissima documentazione d’archivio che attesta un plurisecolare rapporto di colleganza gentilizia fra le potenti famiglie comitali montenovesi dei conti ghibellini di Boscareto intrattenuto con i conti di Montefeltro, prima, e con la casa ducale urbinate poi, a far data almeno dal primo Duecento, quanto è attestato a Montenovo il possesso di una abitazione della famiglia feltresca nella piazza principale del paese, e di altri rapporti e colleganze politico-militari nel Trecento, che si ampliarono dopo la metà del secolo anche con la mediazione fiorentina di casa Medici, che parimenti possedeva a Montenovo un palazzo ancora denominato “Palazzo Medici”. E’ ben nota l’influenza che la casa d’Urbino esercitò, per effetto di prestazioni militari delle proprie compagnie di ventura in cui militavano anche i Boscareto, su Firenze e la Toscana, e che vide riverberarsi anche a Montenovo un forte movimento migratorio di famiglie nobiliari toscane, particolarmente fiorentine e pisane, fino all’arrivo della nobile famiglia fiorentina dello storico montenovese Brunacci, già citato, che fu autore anche di alcune decorazioni interne della chiesa del Santissimo Crocifisso. Nell’ambito dei rapporti con Urbino va quindi collegata la committenza delle due formelle policrome quattrocentesche. Alberto Fiorani".

da Centro Cultura Popolare

 

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