Quanto il sentimento religioso del popolo nutriva una fede più intensa, la giornata del 4 maggio assumeva un valore particolare per le comunità dell’alta provincia anconetana, alta nel senso di settentrionale. Le tre delle più importanti città della Provincia festeggiavano contemporaneamente i loro patroni: Ancona per San Ciriaco, Jesi per San Floriano e Senigallia per San Paolino. San Ciriaco nacque a Gerusalemme con il nome di Giuda, figlio di Simeone e Anna. Nell'anno 326, l'Imperatrice Elena, madre di Costantino, si recò a Gerusalemme per ritrovare la Vera Croce, sulla quale era stato crocifisso Gesù. Qui venne a sapere che un rabbino, di nome Giuda, conosceva il luogo in cui era stata seppellita la Croce in cui fu crocifisso Cristo. Ma Giuda, rabbino ebreo, non volle rivelare le informazioni in suo possesso: ma dopo essere stato messo per sei giorni all'interno di una cisterna vuota, senza cibo né acqua, informò l'Imperatrice di quanto era a sua conoscenza. La Croce fu
ritrovata il 3 maggio 326, insieme a quelle dei due ladroni. Non riuscendo però a capire quale potesse essere la Croce sulla quale fu inchiodato Cristo, Elena le fece esporre tutte e tre sopra il cadavere di un giovane appena defunto, il quale risorse miracolosamente allorché venne a contatto con la Vera Croce. A quel punto Elena e il suo seguito si inginocchiarono in adorazione e Giuda, alla vista di quel miracolo, si convertì al cristianesimo. Fu battezzato da Macario, vescovo di Gerusalemme, alla presenza di Elena, ed assunse il nome di Ciriaco (che, dal greco, significa "dedicato al Signore"). Dopo la conversione Ciriaco si adoperò attivamente per la diffusione della fede e nello studio dei Vangeli. Nel 327 Papa Silvestro I lo consacrò Vescovo. Secondo varie fonti svolse il suo ufficio in Ancona, ove era giunto per venerare il famoso Santuario di Santo Stefano ivi esistente e in cui avvenivano molti miracoli. Nel 363 fece un viaggio nella sua terra natia. Qui l'Imperatore Giuliano l'apostata lo fece imprigionare e torturare per farlo apostatare dalla fede cristiana. La tradizione elenca le seguenti torture patìte da Ciriaco: la mutilazione della mano destra; l'ingurgitamento forzato del piombo fuso; bruciato sopra una graticola e frustato; gettato in una fossa piena di serpenti velenosi; immerso nel bitume bollente: trafitto al cuore con una spada. Dopo questo Ciriaco morì. La salma del martire fu sepolta a Gerusalemme, in una grotta del Monte Calvario. L'8 agosto 418 il corpo venne trasferito dalla Palestina ad Ancona, nella chiesa di Santo Stefano, per l’intervento di Galla Placidia, come ricompensa alla città per non aver potuto ricevere le reliquie del corpo di Santo Stefano, che la città aveva richiesto perché lo venerava sin dalle origini più di ogni altra città, a motivo della conservazione, come reliquia, di uno dei sassi che colpirono il corpo del Santo durante la sua dilapidazione. Nel 1097le spoglie vennero trasferite nella chiesa di San Lorenzo, che da quel momento viene chiamata di San Ciriaco. Il corpo incorrotto di San Ciriaco è ancor oggi esposto nella cripta della Cattedrale di Ancona. Viene ricordato dalla Chiesa Cattolica il 4 maggio. Durante la ricognizione del corpo del martire compiuta in seguito al terremoto avvenuto in Ancona nel 1972, gli studi medici e scientifici confermarono la verità della storia del martirio, così come era stata tramandata dalla tradizione. San Floriano di Lorch era un veterano dell'esercito romano che viveva a Mantem presso Krems. Avendo saputo che Aquilino, preside del Norico Ripense, durante la persecuzione di Diocleziano, aveva arrestato a Lorch quaranta cristiani, desiderando di condividerne la sorte si recò in quella città. Prima di entrarvi, però, s'imbattè in alcuni soldati, ai quali manifestò di essere cristiano; fu perciò arrestato e condotto dal preside, il quale non riuscendo a farlo sacrificare agli dei, lo fece flagellare e quindi lo condannò ad essere gettato nel fiume Enns con una pietra di mola al collo: la sentenza fu eseguita il 4 maggio 304. Il corpo del martire su cui vegliava un'aquila fu, in seguito, ritrovato da alcuni fedeli (tra cui una certa Valeria), raccolto e seppellito. La più antica notizia di lui si trova in un atto di donazione del secolo VIII, con il quale il presbitero Reginolfo offriva ad una chiesa alcune possessioni site "in loco nuncupante ad Puoche ubi preciosus martyr Florianus corpore requiescit". Sul sepolcro fu costruita una chiesa che, affidata dapprima ai Benedettini, passò poi ai Canonici Regolari Lateranensi ed ora è il centro di una fiorente Congregazione. Nel 1183 alcune reliquie di Floriano furono portate dal vescovo Egidio di Modena a Cracovia dove il duca Casimiro di Polonia edificò in onore del martire una splendida basilica. La venerazione e il culto al martire Floriano si diffusero ben presto in Austria, la terra dove Floriano nacque e morì, ma anche nella vicina Baviera, dove verso il secolo XV fu attribuito a Floriano il patronato e la protezione contro gli incendi. Per la morte nelle acque del fiume, inoltre, Floriano estese il suo patronato alle vittime delle inondazioni e fu venerato come protettore contro le inondazioni. Nell'iconografia, viene raffigurato con la mola, a ricordare la morte del martire nelle acque del fiume; a ricordare che era soldato viene raffigurato con lo scudo, la spada, l'elmo e la bandiera; come patrono e protettore contro il fuoco, Floriano figura nei villaggi dell'alta Austria e nelle vicine regioni bavaresi sulle pubbliche fontane, sui muri delle case, delle piccole chiese e delle cappelle di campagna spesso contraddistinto da un secchio d'acqua, nell'atteggiamento di salvare dalle fiamme un edificio. Molto più controversa la vicenda storica di San Paolino del quale si hanno versioni contrastanti e per la quale, in mancanza di documenti certi, c’è discussione tra gli storici locali. Polverari presenta tre ipotesi. La prima attribuisce la prima cattedra vescovile a san Sabiniano, ma così non si capisce da dove viene il culto di san Paolino. La seconda identifica san Paolino con il santo di Nola. Il quale, passando verso il 370 da Senigallia, vi avrebbe predicato il Vangelo e fondato la prima cattedra vescovile. Una terza ipotesi pone un san Paolino vescovo locale, patrono della città e della diocesi, di cui si sarebbero persi i documenti e i riferimenti storici e che successivamente sarebbe stato confuso con il famoso santo di Nola che però, secondo Polverari, in quegli anni non era ancora battezzato, cosa che avvenne nel 389. Quindi se è vero che il primo vescovo di cui si hanno notizie certe è Venanzio (siamo nel 502-503) e che si ha notizia di una primitiva cattedra posta nella periferia e dedicata a san Gaudenzio, rimane per Polverari il mistero storico dell’identificazione del nostro santo patrono. Una cattedrale intitolata a san Paolino esisteva nel Medio evo presso l’attuale ubicazione del cinema Rossini, distrutta da Sigismondo Malatesta. Ma il problema dell’origine del culto rimane comunque. Nel IX secolo, quando il comitato senigalliese si estendeva grosso modo nello stesso territorio che oggi comprende la diocesi di Senigallia, nella cronotassi dei vescovi senigalliesi riportata da Polverari compare un “Paolino” che nell’826 è presente ad un concilio romano sotto papa Eugenio II. E le ricerche documentali fatte dallo stesso Polverari nell’archivio vescovile non parlano mai di san Paolino “da Nola” se non dopo il 1271, e quindi il San Paolino venerato sarebbe questo vescovo senigalliese dei tempi del comitato carolingio, le cui reliquie sarebbero state disperse da Sigismondo Malatesta durante la distruzione della cattedrale, e che sarebbe stato confuso con il più famoso santo di Nola. Resta comunque il fatto che il 4 maggio del 1271 il vescovo Filippo, come riportato da Ridolfi, consacra la cattedrale a Santa Maria e San Paolino da Nola, che da quel momento diventa anche ufficialmente il santo patrono senigalliese.
Daniela Crocetti |