Ostra: Una tragica pagina di storia dimenticata |
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Lunedì 19 Maggio 2014 14:57 |
Il conte Giovanni Bonarelli di Ancona ha inviato al Centro di Cultura Popolare di Ostra Vetere una recente pubblicazione a cura di Stanislao De Angelis Corvi che l’ADSI, Associazione Dimore Storiche Italiane, Sezione Marche, ha pubblicato con l’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica e dal titolo “Tre dimore storiche dal Metauro al Tronto”. Si tratta di una pregevole pubblicazione che illustra i caratteri architettonici e storici di tre dimore storiche, due private: Villa Isola a Fermignano, Villa Carotti a Morro d’Alba ed una di proprietà pubblica: palazzo Guiderocchi a Monsampolo del Tronto. Tra le tante notizie inedite contenute nel volume, una ci ha colpito per la sua rilevanza. Si tratta di una tragica pagina di storia dimenticata che interessa la comunità di Ostra, già Montalboddo.
La riportiamo: “Piccolomini. Fra tutti i masnadieri che imperversarono per l’Italia nella seconda metà del sec. XVI, occupa un posto di primissimo ordine un gentiluomo senese di elevata posizione sociale, Alfonso Piccolomini (Acquapendente 1558 – Firenze 1591) III° duca di Montemarciano e signore di Camporsevoli. Per avere un concetto immediato e preciso della sua audacia e della sua spietata ferocia basterà rievocare un episodio narrato da un suo biografo: essendogli sati confiscati dalla Camera Apostolica i beni di Montemarciano arruolò per vendicarsi molti uomini e nel maggio 1581 giunse sotto il castello di Montalboddo, oggi Ostra, di cui per primo ne scalò le mura. Il paese fu messo al sacco gli uomini e le donne passati a fil di spada. Soltanto della famiglia Gabuzi ne furono uccisi nove perché il Piccolomini riteneva che uno di essi fosse autore di un ricorso al papa contro di lui. Ordinò poi ai suoi scherani di condurre le mogli e madri degli uccisi sulla pubblica piazza e dopo averle costrette per scherno selvaggio a ballare al suono di canti osceni, le sventurate furono fatte a pezzi. Il Piccolomini per questa sua “missione” a Montalboddo, ebbe l’ausilio, oltre che di un fidato gruppo di banditi locali, anche di numerosi mercenari “schiavoni”, reclutati nell’altra sponda dell’adriatico, che ingrossarono le sue file. Pianificò nei particolari questo assalto. Giunto via mare sulla costa nella zona sud di Montemarciano, giocando d’astuzia, si diresse verso Morro d’Alba aggirando la via di comunicazione principale che conduceva a Montalboddo, alla scopo di non destare sospetti. Percorse quindi un sentiero che attraversava la località S. Silvestro e, seguendo il corso di un fosso, conduceva nella Selva della comunità di Morro d’Alba. Qui i banditi, giunti alla spicciolata, si acquartierarono per circa due giorni, prima dell’ assalto a Montalboddo che avvenne nella zona sud della cinta di mura, dove la zona scoscesa e più impervia aveva minor sorveglianza. La scalata alle mura riuscì perfettamente, ne approfittarono gli uomini di ventura, rotti all’uso delle armi bianche, cinici e arditi dettero inizio al sacco della città”. A corredo della storia, il quadro del conte Pierconte Gabuzi di Montalboddo.
Francesco Fiorani |