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Ostra antica, Montenovo medievale e Ostra Vetere contemporanea PDF Stampa E-mail
Sabato 15 Agosto 2009 09:41
Montenovo nella seconda metà dell'OttocentoLa storia riaffiora inesorabilmente e stuzzica la curiosità di molti. Ostra romana, Muracce, Montenovo non sono morte e tornano a riverberare le loro esistenze millenarie anche oggi, suscitando il confronto delle idee. Vale la pena, allora, di replicare un articolo pubblicato dal Corriere Adriatico il 2 marzo 1980, quasi trenta anni fa, e riportato poi anche alle pagine 151, 152 e 153 del libro di Paolo Pierpaoli "Ostra Antica", edito nel 1985 dal Centro di Cultura Popolare e dall'amministrazione comunale, all'epoca guidata dal nostro Direttore Alberto Fiorani: "Quasi cento anni fa si scatenò una furibonda lotta (si fa per dire) fra Montenovo e Montalboddo. Motivo del contendere era, se vogliamo, di una rilevanza non certo assoluta. S'era diffusa una smania incontenibile che spingeva l'opinione pubblica, o meglio quelli che facevano l'opinione pubblica, a voler cambiare a tutti i costi il nome del paese. La storia è lunga e va raccontata. In queste nostre contrade, belle, aperte e soleggiate, la storia ha camminato con il piede degli uomini fin dai primordi della civiltà. Popoli e genti si sono succeduti a più riprese lasciando il segno del loro passaggio, ma più di tutti segnarono i Romani. L'antica città romana di Ostra prosperò per secoli nella valle del Misa e una miriade di reperti e varie testimonianze la ricordano ancora a noi come città ricca e industriosa. Certo non aveva uno "smisurato recinto", come diceva la buonanima di Don Gaudenzio Brunacci più di trecento anni fa: purtuttavia aveva la sua brava importanza. E così alle orde dei barbari Goti, scesi in Italia per depredare, non parve vero di poter mettere le mani su tanta ricchezza e i numerosi scheletri ammonticchiati lungo le strade, che si rinvengono quasi quotidianamente durante i troppi scavi abusivi, stanno a dimostrare che non ci andaro certo per il sottile. Qualcuno sospetta che, nonostante l'orribile strage, Ostra non sia totalmente scomparsa, ma abbia proseguito la sua misera esistenza fino ad un nuovo disastro perpetrato da altri barbari, i Longobardi. Nonostante ciò, Ostra, si dice, continuò a vivere, se non nella pianura dove era stata fondata, almeno nel cuore degli scampati al massacro, rifugiatisi sulle colline circostanti e più adatte alla difesa. Passano i secoli, passano gli uomini, cambia la storia. Montenovo, Montalboddo, Belvedere e tanti altri paesi appollaiati in cima alle colline vivono ormai la loro vita ultracentenaria senza più curarsi degli antichi allòri imperiali e delle scomparse città romane di Ostra, Suasa, Sena, Sentino, ecc., ma ecco che qualcosa succede nel XVI° secolo. E' un secolo di grandi trasformazioni e di poderose lotte di idee: la Riforma prima e la Controriforma poi, andavano forgiando diversamente l'anima degli uomini. Vinse da noi la Controriforma e portò con sè un modo nuovo di intendere i fatti e le cose: il barocco imponente e maestoso si ammantò di potere e di gloria. Da noi allora sorsero spiriti attenti e curiosi, figli del tempo, pieni di sè e pronti al giudizio: Montenovo non poteva essere solo un borgo medievale nato dai duri bisogni di una vita orfani di eventi storici. Bisognava dargli un padre nobile e fiero che rivalutasse quei posteri affamati di grandezza; bisognava legare Montenovo ai secoli e ai millenni, riaprire i canali ostruiti di una discendenza famosa che portasse nuova linfa nobilitante ai figli di un secolo d'oro. A tutte queste cose pensò Don Pietro Paolo Brunacci, anche lui come il fratello tutto teso a cantare le glorie dei nostri "trascorsi imperiali". E così manoscrisse volumi sopra volumi di storia patria, partendo nientedimenochè dal Diluvio Universale, per dimostrare che da qualche parte qui vicino dovrebbe essere transitato anche il Buon Padre Noè con la sua Arca, o forse soltanto qualcuno dei suoi figli che si davano un gran daffare per ripopolare il mondo. Parlò di tutto: di Papi e di Imperatori, di guerre e di monete, di toponomastica e di tribù, di fatti d'arme e di chiese, giù giù fin quando, era il 1703, vestito di un solo misero saio francescano, in segno di quella umiltà che non avrebbe mai gradito nella vita, lo seppellirono in una tomba anonima dentro la chiesa di S. Croce dei frati francescani. Veramente non fu solo nella sua opera di ricostruzione del nobile passato del suo e nostro paese: altri eruditi lo affiancarono, precedendolo e seguendolo lungo la strada della compiaciuta riscoperta di una storia fatta di dotti e di nobili. Così Fra' Pietro Ridolfi per Senigallia, così Don Virginio Galli per Serra dei Conti, così Don Matteo Mattioli per Montenovo, così Don Vincenzo Cimarelli per Corinaldo, così Don Agostino Rossi per Montalboddo: tutti a scovare dai polverosi archivi, dalle memorie dei vecchi e dai cocci sparsi in mezzo ai campi l'intima essenza di una discendenza gratificante. Passarono gli anni, i secoli e fatti grossi cambiarono ancora le cose e gli uomini. Venne l'Italia unita, nel 1860, e portò con sè lo spirito di rivincita dei laici per secoli di dipendenza da un potere romano e papale. L'odio per i preti offuscò anche le coscienze di molti che finalmente potevano "rivisitare" (oggi si dice così) la storia ed osare quello che i preti due secoli prima non vollero. Via allora la denominazione di un centro nato in piena dominazione temporale papale, via gli agganci con un millennio di colleganza sociale, culturale ed economica con le istituzioni religiose, via l'anima popolare della nostra gente, che è fatta anche di religiosità e di gelosa tutela di tradizioni millenarie: "dobbiamo cambiare il nome, tornare alla nobiltà delle origini" dovettero pensare quelli che allora facevano l'opinione pubblica, e giù a preparare petizioni per riavere l'antico nome di Ostra. Purtroppo anche a Montalboddo la pensavano allo stesso modo e siccome quelli avevano forse più potere, riuscirono a spuntarla per primi e ad ottenere il nome tanto bramato. La rabbia deve aver fatto illividire più di una faccia, ma i nostri non si dettero per vinti: "nobili siamo e nobile ha da essere il nome del paese". E così Sua Maestà, per accontentare tutti, decretò: si chiami Ostra Vetere. Già, perchè "Vetere" vuol dire "più antico" di quel Montalboddo là. Soddisfatti di tanto onore, fecero allora murare sulla torre comunale una lapide giubilante che parla addirittura di "giustizia fatta". Oggi noi siamo lontani da quei tempi e lo siamo per gli anni e per le idee. Mai più un falso storico! Diciamoci allora con sincerità che fra l'Ostra romana e Montenovo medievale passano almeno seicento anni e che un figlio può anche nascere dopo la morte del padre, ma non dopo così tanto tempo. Altro che Araba Fenice che rinasce dalle sue ceneri, come dice lo stemma comunale. Accettiamo la storia per quella che è, senza rinnegare nulla. In seicento anni troppa acqua è passata sotto i ponti del Misa; leghiamoci piuttosto al nostro passato, riscoprendo il senso più vero della nostra cultura, perchè un popolo senza storia è destinato a scomparire. Difendiamo la nostra anima popolare e facciamo giustizia, stavolta sì, a noi stessi e alla nostra storia: torniamo a Montenovo! Alberto Fiorani, sindaco di Ostra Vetere". In questi termini si esprimeva l'articolo e il Centro di Cultura Popolare ne ha raccolto il messaggio, dedicandosi alla memoria del passato del paese con un'opera instancabile, nonostante le difficoltà del successivo ventennio, per riproporre di nuovo oggi il frutto di tante solitarie  e ostacolate ricerche, grazie anche ai nuovi mezzi di comunicazione di massa, che il giornale "Gazzetta dj" on-line ci consente ora di utilizzare. E per rendere ancora più chiaro il senso del discorso, alleghiamo una bella foto del nostro paese scattata nella seconda metà dell'Ottocento e che ancora porta il nome di Montenovo, ricavata dalla foto n. 0048 del "Catalogo ragionato dell'Archivio Fotografico di Mario Rossetti," edito nel n. 87 della collana dei testi del Centro di Cultura Popolare nel 2007, nel quale non figura ancora la cupola e il campanile di Santa Maria perchè non ancora costruiti (lo saranno fra il 1895 e il 1910).

Francesco Fiorani

 

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    Ma non serve chiudere la stalla quando il bove è fuggito.