La storia è maestra di vita. A questa proposizione assiomatica sulla scorta di una tradizione condivisa anche a livello locale. Vale allora la pena di leggere con attenzione il contenuto di un nuovo libro da poco in libreria e che fa propria l'idea che storicamente i socialisti diventarono fascisti. E' questa una tesi che può sembrare provocatoria solo a chi non ha mai letto i libri di Renzo De Felice e che ora viene approfondita da uno dei suoi più stretti collaboratori, Antonio Alosco, già docente di storia contemporanea all’università di Napoli, autore di ‘I socialfascisti - continuità tra socialismo e fascismo’ pubblicato da D’Amico editore, 2021, e secondo il quale la maggioranza dei dirigenti socialisti italiani aderì al fascismo. Senza voler minimizzare l'opera e gli scritti di tanti esponenti socialisti che militarono nell’antifascismo come Pertini, Nenni, i fratelli Rosselli, Lelio Basso o Ernesto Rossi, nel decennio del consenso (1928-38) al regime fascista di Mussolini, peraltro anche lui socialista,
fra i socialisti di allora prevalsero rassegnazione e “indifferentismo”. E' questa la definizione edulcorata e sconsolata che i marxisti ‘scientifici’ davano allora da Parigi della situazione italiana. Nel nuovo volume "I socialfascisti", l'autore Alosco esamina i casi più eclatanti di passaggio dalla sinistra al fascismo. Arturo Labriola, fondatore del partito socialista a Napoli, economista, deputato, ministro del Lavoro con Giolitti nel 1921, finì sull’Aventino e scappò in Francia. Ma nel 1935 tornò clamorosamente in Italia, lodando Mussolini per la guerra d’Etiopia. Il duce lo ricevette in nome del comune passato soreliano, e trovò lavoro a lui e al figlio. Più in là il collaborazionismo di Labriola non si spinse, ma tanto bastò perché il partito socialista gli negasse un seggio alla Consulta nel 1945. L’anno dopo si fece eleggere in una lista liberale, e fu senatore fino al 1953 tornando a sinistra, tanto che fu capolista Pci alle comunali di Napoli nel 1956. Un altro caso che fece scandalo fu quello di Emilio Caldara, primo sindaco socialista di Milano dal 1914 al 1920. Per la sua buona amministrazione divenne più popolare di Turati, e portò il Psi al trionfo elettorale del 1919: primo partito col 32% (allora i fascisti ebbero solo 4mila voti). Dopo lo scioglimento dei partiti e l’inizio della dittatura Caldara tornò a fare l’avvocato, ma nel 1934 chiese un colloquio a Mussolini, che conosceva bene come collega consigliere comunale a Milano. Gli propose di collaborare al corporativismo, che riteneva vicino agli ideali socialisti. Fu il duce a declinare l’offerta del gruppo di Caldara, per evitare frizioni con i sindacalisti fascisti. Ma l’episodio più significativo fu quello dell’intero gruppo dirigente della Cgl, il sindacato di sinistra. I cui due primi segretari, Rinaldo Rigola e Ludovico d’Aragona, si offrirono anch’essi a Mussolini nel 1927, entusiasti per la Carta del lavoro fascista. L’unico a opporsi, dall’esilio parigino, fu Bruno Buozzi. Anche Alberto Beneduce, nominato dal duce alla guida dell’Iri nel 1933, era di sinistra, tanto da chiamare col bizzarro nome di Idea Nuova Socialista la figlia, poi moglie del banchiere Enrico Cuccia, il fondatore di Mediobanca. Tragico fu invece il destino di Nicola Bombacci, prima segretario nazionale socialista passato inizialmente al Pci e poi al fascismo quand Mussolini finanziò il suo giornale ‘La Verità’, fucilato a Dongo e appeso in piazzale Loreto col duce, Claretta Petacci e altri gerarchi. Nel suo libro il professore Alosco presenta molti altri casi di dirigenti politici e sindacali socialisti che, via via, chinarono la testa di fronte al fascismo, che acquistava un consenso sempre maggiore. Quel consenso crescente che deprimeva gli antifascisti fuoriusciti a Parigi, che impegnavano molto tempo in dispute ideologiche fra loro, mentre lo sprezzante epiteto di “socialfascisti”, con cui il comunista Togliatti equiparava i socialisti antibolscevichi ai fascisti, aveva un fondamento nei fatti. Un libro da leggere, anche per capire molte cose perfino di questi ultimissimi anni.
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