L’anniversario dell’attentato alle Torri Gemelle fornisce lo spunto per ricordare la battaglia di Vienna del 1683. Sembrerebbe che la data dell’11 settembre rappresenti una data fatidica e ripetitiva per i grandi fatti della storia mondiale. Come Centro di Cultura Popolare, offriamo ai nostri lettori un contributo storico pervenutoci a suo tempo dal professore Giorgio Nicolini de “La Voce Cattolica” di Ancona, che riflette sui parallelismi di quella data, ricordando un altro 11 settembre, quello del 1683 quando il re di Polonia Giovanni Sobieski riuscì a fermare l’avanzata musulmana che minacciava di travolgere l’Occidente. Su quella vicenda, la biblioteca del Centro di Cultura Popolare dispone di numerosa documentazione e fra questa anche lo splendido volume di Andrew Wheatcroft “Il nemico alle porte. Quando Vienna fermò l’avanzata ottomana”, rappresentato a lato. Ma su quella vicenda il professor Nicolini aveva aggiunto tanti inediti particolari che aprono nuovi squarci interpretativi e vi collocano a pieno titolo la devozione della Santa Casa di Loreto e
l’opera di un frate cappuccino, frate Marco d’Aviano, proclamato beato dal papa polacco Giovanni Paolo II. Leggiamo quel che scriveva il professore Nicolini: “LA BATTAGLIA DI VIENNA E IL RUOLO DETERMINANTE DELLA PROTEZIOINE DELLA VERGINE LAURETANA. Padre Marco d'Aviano: La battaglia di Vienna e Loreto. Padre Marco, al secolo Carlo Domenico Cristofori, nacque ad Aviano (Pordenone) nel 1631. Studiò da giovane presso i gesuiti. Nel 1648 entrò nell'ordine dei cappuccini e, ordinato sacerdote, si diede all'apostolato della parola e della penna, divenendo presto famoso. Nel 1680 fu inviato in Germania dove divenne confidente e consigliere di molti principi, tra i quali l'imperatore Leopoldo I d'Austria che lo chiamava suo angelo tutelare. Fu al suo fianco nel 1683 come protagonista durante l'assedio di Vienna. Morì in quella città nel 1699 e fu sepolto nella chiesa dei cappuccini. Il nome di Padre Marco torna ora alla ribalta, dopo lungo tempo di ingiustificato oblio. Viene considerato uno dei personaggi più importanti del suo tempo, soprattutto in riferimento al suo ruolo determinante, come cappellano generale, nella vittoriosa battaglia di Vienna dell'11 settembre 1683, definita da qualche storico "la madre di tutte le battaglie" perché ha chiuso il discorso militare con i turchi, desiderosi di occupare l'Europa, decretando il loro irreversibile declino militare ed economico. L'attenzione per il cappuccino oggi è considerevole. E' noto il romanzo scritto da Carlo Sgorlon "Marco d'Europa", che nel titolo già evidenzia la sua grandezza. Il romanzo viene ora riproposto tra gli Oscar Mondadori con un nuovo titolo: "Il taumaturgo e l'imperatore". Recentemente, Giuseppe Baiocchi, giornalista della Rai, colpito della coincidenza dell'11 settembre, data della vittoria di Vienna del 1683 e data dell'attacco alle Torri gemelle del 2001, ha messo a frutto le sue conoscenze storiche e ha ricostruito le vicende di quella storica battaglia. Sulla base di tale ricostruzione, il regista Renzo Martinelli si è messo all'opera per realizzare una riproduzione cinematografica dell'evento e ha cominciato a girare il suo Marco d'Aviano. Il regista ha rilasciato questa dichiarazione al "Corriere della Sera" (12 febbraio 2002, p. 37): "Sarà una pellicola piena di effetti spettacolari, ma di grande portata storica. Mi proporrò di illustrare la personalità del frate predicatore anche per sottolineare la sua straordinaria attualità. Marco credeva fermamente alla necessità di affermare l'identità culturale dell'Occidente di fronte alla sfida dell'Islam". Il riconoscimento più alto al cappuccino di Aviano viene però dalla Chiesa. Infatti, il 27 aprile 2003, Giovanni Paolo II lo ha proclamato beato, riconoscendo in lui l'esercizio eroico delle virtù cristiane. [...]. Padre Marco ha legato il suo nome al santuario di Loreto, perché dopo la vittoriosa battaglia di Vienna, mentre il re polacco Giovanni Sobieski entrava trionfante a Vienna, lui lo accompagnava mostrando un'immagine della Madonna di Loreto, alla cui intercessione fu attribuita quella memorabile vittoria. Riproduciamo qui di seguito uno scritto di Padre Arsenio d'Ascoli, già “Direttore della Congregazione Universale”, apparso nel suo volume "I papi e la Santa Casa" (Loreto, 1969, pp. 54ss), nel quale sono descritti gli aspetti "lauretani" della battaglia di Vienna e il ruolo di Padre Marco d'Aviano. "Dopo un secolo dalla disfatta di Lepanto (1571) i turchi tentavano per terra di sommergere l'Europa e la cristianità. Maometto IV al principio del 1683 consegna a Kara Mustafà lo Stendardo di Maometto facendogli giurare di difenderlo fino alla morte. Il Gran Visir, orgoglioso della sua armata di 300 mila soldati, promette di abbattere Belgrado, Buda, Vienna, straripare in Italia, giungere fino a Roma e collocare sull'altare di San Pietro il trogolo del suo cavallo. Nell'agosto del 1683 il Cappuccino P. Marco d'Aviano è nominato Cappellano Capo di tutte le armate cristiane. Egli rianima il popolo atterrito, convince Giovanni Sobieski ad accorrere con la sua armata di 40 mila uomini. L'immagine della Madonna è su ogni bandiera: Vienna aveva fiducia solo nel soccorso della Madonna. La città era assediata dal 14 luglio e la sua resa era questione di ore. Sul Kahlemberg, montagna che protegge la città dalla parte del nord, in una cappella, il P. Marco celebrò la Messa servita dal Sobieski dinanzi a tutta l'armata cristiana disposta a semicerchio. P. Marco promise la più strepitosa vittoria. Alla fine della Messa, come estatico, invece di dire: "Ite Missa est", gridò: "Joannes vinces", cioè: "Giovanni vincerai". La battaglia iniziò all'alba dell'11 settembre. Un sole splendido illuminava le due armate che stavano per decidere le sorti d'Europa. Le campane della città fin dal mattino suonavano a stormo, le donne e i bambini erano in chiesa a implorare aiuto da Maria. Prima di sera l'armata turca era in rotta, lo stendardo di Maometto nelle mani di Sobieski, la tenda del Gran Visir occupata. Il popolo era impaziente di contemplare il volto dell'eroe. Sobieski, preceduto dal grande Stendardo di Maometto, vestito di azzurro e di oro, montato sul cavallo del Gran Visir, il giorno seguente fece il suo ingresso solenne in città fra un delirio di popolo. Per ordine di Sobieski il corteo si diresse verso la chiesa della Madonna di Loreto in cui si venerava una celebre immagine della SS. Vergine. A Lei era dovuta la vittoria e ai suoi piedi tutto il popolo si prostrò riconoscente. Fu celebrata una S. Messa e Sobieski rimase sempre in ginocchio come assorto. Il predicatore salì il pulpito e fece un grande discorso di circostanza, applicando a Giovanni Sobieski il testo evangelico: "Fuit homo missus a Deo cui nomen erat Joannes" ("Ci fu un uomo inviato da Dio, il cui nome era Giovanni"). La cerimonia proseguì grandiosa e solenne nella sua semplicità con particolari gustosi che mettono in rilievo la fede e la bonomia di Sobieski. L'assedio aveva disorganizzato molte cose e la Chiesa di Loreto non aveva più cantori. "Non importa" disse Sobieski, e con la sua voce potente intonò ai piedi dell'altare il "Te Deum", che il popolo proseguì ad una sola voce. L'organo e la musica non erano necessari: il coro della folla vi supplì con pietà, commozione, entusiasmo. Il clero sconcertato non sapeva come concludere, e sfogliava messali e rituali per cercare un versetto. Sobieski lo trasse d'imbarazzo: senza troppo badare alle rubriche, ne improvvisò uno e la sua voce sonora si innalzò ancora potente su la folla: "Non nobis, Domine, non nobis!" ("Non a noi, Signore, non a noi!"). I sacerdoti risposero piangendo: "Sed nomini tuo da gloriam" ("Ma al tuo nome dà gloria"). Sobieski inviò subito un messaggio al B. Innocenzo XI per annunziargli la vittoria. I termini della missiva mostrano l'umiltà e la fede dell'eroe: "Venimus, vidimus, et Deus vicit" ("Siamo venuti, abbiamo veduto, e Dio ha vinto"). Una solenne ambasciata portava al Papa il grande stendardo di Maometto IV, la tenda del Gran Visir e una bandiera cristiana riconquistata ai Turchi. Il Beato Innocenzo XI, riconoscente alla Madonna di Loreto per la grande vittoria, inviò al Santuario la bandiera ritolta ai Turchi e la tenda. La bandiera si conserva ancora nella Sala del Tesoro. La tenda fu portata personalmente da Clementina, figlia di Sobieski, sposa a Giacomo II Re d'Inghilterra. Con la tenda fu confezionato un prezioso baldacchino che si usa solo nelle grandi solennità; una parte servì per un "apparato in quarto per pontificali". Anche il Papa, come Sobieski, attribuiva la vittoria alla Vergine. Il suo ex voto fu l'istituzione di una festa in onore del S. Nome di Maria. Il 25 novembre 1683 un atto della Congregazione dei Riti la estendeva a tutta la Chiesa e la fissava nella domenica fra l'ottava della Natività di Maria e S. Pio X l'ha fissata per il 12 settembre, giorno anniversario della vittoria. Dopo la grande battaglia di Vienna, sotto le macerie fu trovata una bella immagine della Madonna di Loreto, nei cui lati era scritto: "In hac imagine Mariae victor eris Joannes; In hac imagine Mariae vinces Joannes" ("In questa immagine di Maria sarai vincitore, o Giovanni; in questa immagine di Maria vincerai, o Giovanni"). Era certo un'immagine portata lì da S. Giovanni da Capistrano, più di 2 secoli prima, nelle lotte contro i Turchi in Ungheria e a Belgrado. Sobieski volle che P. Marco la portasse nell'ingresso trionfale a Vienna il giorno dopo la vittoria. La portò con sé inseguendo il nemico e con essa riportò splendide vittorie contro i Turchi. La fece poi collocare nella sua Cappella e ogni giorno faceva celebrare dinanzi a Lei la S. Messa e cantare le Litanie Lauretane. Nella Cappella Polacca a Loreto il prof. Gatti ha voluto ricordare questo episodio collocando nel quadro della parete di destra il P. Marco d'Aviano con il quadro della Madonna di Loreto in mano. Il B. Innocenzo XI mise l'impronta della Santa Casa con l'iscrizione: "Santa Maria di Loreto, pregate per noi", negli "Agnus Dei" del primo e settimo anno del suo Pontificato. Padre Arsenio d’Ascoli.12 settembre 1683. La battaglia di Vienna. Lo scenario politico-militare nella seconda metà del Seicento - secolo alquanto travagliato - appare oscuro e denso d’incertezze. La Guerra dei Trent’Anni (1618-1648), sotto le apparenze di una guerra di religione, era in realtà un confronto politico-militare fra la Casa regnante francese dei Borbone e quella degli Asburgo. L’intento era quello di togliere agli Asburgo l’egemonia sulla Germania, che derivava loro dall’autorità imperiale. Per raggiungere questo scopo Armand du Plessis, meglio noto come cardinal Richelieu (1585-1642), inaugurando una politica fondata sul mero interesse nazionale a scapito di una visione europea e cattolica, si alleò con i principi protestanti. I Trattati di Westfalia del 1648 sancirono l’indebolimento definitivo del Sacro Romano Impero. È cosí che sulla Germania, devastata, divisa fra cattolici e protestanti e separata politicamente, si stabilisce l’egemonia del re di Francia, Luigi XIV (1638-1715). Il ruolo cosí raggiunto in Europa spinge il Re di Francia ad aspirare ormai alla corona imperiale e, in questa ottica, egli non esita a cercare perfino l’alleanza dell’Impero ottomano, del tutto avverso ad ogni ideale cristiano ed europeo. Sul finire del secolo dunque l’Europa è prostrata, divisa in se stessa tra fazioni religiose e lotte dinastiche, con una crisi economica e demografica conseguente alla guerra, che la resero quanto mai vulnerabile. L’offensiva islamica. L’impero ottomano, che aveva conquistato i paesi balcanici fino alla pianura ungherese, il 1° agosto 1664 era stato temporaneamente bloccato dagli eserciti imperiali guidati da Raimondo Montecuccoli (1609-1680) nella battaglia di San Gottardo, in Ungheria. Poco dopo però, sotto la guida strategica del Gran Visir Qara Mustafà (1634-1683), l’offensiva riprende, incoraggiata paradossalmente da Luigi XIV e dalla sua disinvolta politica anti-asburgica. Non poteva esserci momento piú favorevole per una campagna vittoriosa e ormai il cuore dell’Europa era alla portata delle armate ottomane. Pressoché isolata, soltanto la Repubblica di Venezia impedisce ai Turchi di ottenere il dominio nell’Egeo, nella Grecia e nella Dalmazia. Si trattava però di una lotta ormai impari e, infatti, culminò nella perdita di Candia nel 1669, nonostante le eroiche gesta di Francesco Morosini (1618-1694). Nel 1672 la Podolia - una parte dell’attuale Ucraina - viene sottratta alla Polonia e nel gennaio del 1683, ad Istanbul, le armate ottomane volgono in direzione dell’Ungheria. È un immenso esercito quello che si mette in marcia verso il cuore dell’Europa, sotto la guida di Qara Mustafā e di Maometto IV (1641-1692). Il disegno che essi tentarono di realizzare era quello di una sorta di "grande Turchia europea e mussulmana" di cui Vienna doveva essere la futura capitale; una città che a sua volta sarebbe stata una testa di ponte verso il resto dell’Europa assediata e destinata alla sconfitta. Le poche forze imperiali rimaste - rinforzate dalle milizie ungheresi guidate dal duca Carlo V di Lorena (1643-1690) - tentarono invano di resistere. Il gran condottiero al servizio degli Asburgo prese il comando, benché reduce da una gravissima malattia, dalla quale - si disse - l’avevano salvato le preghiere di un padre cappuccino, noto a molti come padre Marco da Aviano. Padre Marco era stato inviato dal Papa presso l’Imperatore per perorare la causa della crociata anti-turca. Il primo atto di padre Marco fu quello di chiedere che in tutte le insegne imperiali fosse riportata l’immagine della Madre di Dio. Da allora le bandiere militari austriache porteranno sempre l’effigie della Madonna per i successivi due secoli e mezzo. Solo Adolf Hitler dopo la sua ascesa al potere le farà togliere. L’inizio della battaglia decisiva. L’otto luglio del 1683 l’esercito ottomano avanza verso Vienna giungendovi il 13 luglio e cingendola d’assedio. Fu una marcia di conquista che non risparmiò le regioni attraversate, votando alla distruzione città e villaggi, chiese e conventi, massacrando e riducendo in schiavitú le popolazioni cosí sottomesse. L’imperatore Leopoldo I (1640-1705), dopo aver affidato il comando militare al conte Ernst Rüdiger von Starhemberg (1638-1701), decise di lasciare Vienna e raggiunse la città di Linz per organizzare cosí la resistenza della Germania. Nell’impero risuonavano ormai le "campane dei turchi", com’era già accaduto nel 1664 e nel secolo precedente, e iniziò la mobilitazione di tutte le forze disponibili. L’imperatore avviò febbrilmente le trattative per chiamare a raccolta tutti i principi, cattolici e protestanti, tentando di contrastare l’opera diplomatica di Luigi XIV e di Federico Guglielmo di Brandeburgo (1620-1688). Fu cosí che chiese anche l’intervento dell’esercito polacco, appellandosi al supremo interesse della salvezza della Cristianità. L’opera di Papa Innocenzo XI. In questo momento angoscioso la politica europea e orientale sapientemente promossa dalla Santa Sede da lunghi anni sortí i suoi frutti. Il merito fu in gran parte del cardinale Benedetto Odescalchi (1611-1689), eletto Papa nel 1676 (con il nome d’Innocenzo XI) e beatificato nel 1956 da Papa Pio XII. Convinto assertore della crociata, il Pontefice, che da cardinale e governatore di Ferrara si era guadagnato il titolo di "padre dei poveri", avviò una politica lungimirante tesa a creare un sistema d’equilibrio fra i principi cristiani per indirizzare la loro azione politica contro l’Impero ottomano. Avvalendosi di personalità eccezionali come i nunzi Obizzo Pallavicini (1632-1700), Francesco Buonvisi (1626-1700), padre Marco da Aviano ed altri, riuscí a comporre i contrasti in seno all’Europa, a pacificare la Polonia con l’Austria e perfino a favorire l’avvicinamento con il Brandeburgo (protestante) e con la Russia ortodossa. Tutte le divisioni in seno alla Cristianità dovevano venir meno davanti alla difesa dell’Europa dall’islam. Fu cosí che, nonostante tutto, nel 1683 il Papa riuscí a creare una grande coalizione cristiana e a trovare le risorse necessarie per finanziare un’impresa politica e militare d’enormi proporzioni. L’assedio di Vienna. Nella città intanto ebbe inizio la resistenza eroica all’assedio. Si calcola che circa 6.000 soldati e 5.000 uomini della difesa civica seppero far fronte all’Armata ottomana, forte di ben 300 cannoni. Nella città, solo la campana di Santo Stefano, ormai chiamata Angstern (angoscia), con i suoi rintocchi chiamava a raccolta i difensori. Gli assalti alle mura e gli scontri isolati erano pressoché continui, mentre i soccorsi erano ancora lontani. Sollecitato dal Pontefice e dall’imperatore, il re di Polonia Giovanni III Sobieski (1624-1696), alla testa dell’esercito, si mosse a tappe forzate verso Vienna, che ormai già due volte aveva salvato la Polonia dai turchi. Finalmente il 31 agosto i suoi contingenti si congiunsero con quelli del duca Carlo di Lorena, che in seguito assunse il comando supremo. L’esercito cristiano, tutte le forze di quell’Europa cosí prodigiosamente riunita, si mise in marcia verso Vienna, dove la situazione era ormai drammatica. I turchi avevano aperto delle brecce nei bastioni e i difensori superstiti, dopo aver respinto decine d’attacchi ed effettuato numerose sortite, erano allo stremo delle forze. Le truppe ottomane avevano quasi il libero accesso all’Austria e alla Moravia. L’undici settembre Vienna visse con angoscia quella che parve l’ultima notte. Von Starhemberg inviò a Carlo di Lorena un ultimo disperato messaggio: "Non perdete piú tempo, clementissimo Signore, non perdete piú tempo". La battaglia finale. È l’alba del 12 settembre 1683, quando padre Marco da Aviano, dopo aver celebrato la Messa, servita dal re di Polonia, benedice e arringa l’esercito ormai schierato accompagnandolo in campo aperto. Poco dopo a Kalhenberg, presso Vienna, 65.000 cristiani affrontano in battaglia campale 200.000 ottomani. A capo degli eserciti cristiani sono presenti i principi del Baden e di Sassonia, i signori di Turingia e di Holstein, i Wittelsbach di Baviera, il generale italiano conte Enea Silvio Caprara (1631-1701), il giovane principe Eugenio di Savoia (1663-1736), insieme ai polacchi e agli ungheresi. La battaglia durò tutto il giorno e terminò con un’epica carica all’arma bianca, guidata da Sobieski in persona, che provocò finalmente lo sfacelo dell’Armata ottomana. Le forze europee scese in campo subiranno la perdita di circa 2.000 uomini contro le oltre 20.000 dell’avversario. L’esercito ottomano fuggí in disordine abbandonando ogni cosa, ma non senza aver vilmente trucidato centinaia di prigionieri e di schiavi cristiani. Il re di Polonia inviò al Papa le bandiere catturate accompagnandole da queste parole: "Veni, vidi, Deus vicit". Da allora, per volere di Papa Innocenzo XI, il 12 settembre è dedicato alla festa del Ss. Nome di Maria, in ricordo e in ringraziamento della vittoria. Il giorno seguente l’Imperatore entrò nella Vienna liberata, alla testa dei principi dell’impero e delle truppe confederate. Nella cattedrale di Santo Stefano il vescovo di Vienna-Neustadt, poi cardinale, il conte Leopoldo Carlo Kollonic (1631-1707), celebrò un solenne Te Deum di ringraziamento".
da Centro Cultura Popolare |