San Getulio fu martirizzato insieme ai Santi Amanzio, Cereale e Primitivo ed è considerato un protomartire dei Sabini. Getulio secondo la leggenda sarebbe nato nella città di Gabio in Sabina, che si trovava nei pressi di Cures e fu distrutta dai popoli barbari. San Getulio fu chiamato anche Getulio “gabiese” dal luogo di nascita, e non lontano da qui subì il martirio (secondo quando riferisce la “Passio”) sotto l’imperatore Adriano (76-138 d.C.). Proprio la “Passio” così ci racconta il martirio: “fu legato ad un palo (insieme al fratello Amanzio, e con i compagni Primitivo e Cereale) e fu fatto bruciare. Le fiamme però non lo toccarono, e i suoi carnefici lo uccisero a colpi di bastone fracassandogli il capo, decapitandolo poi”. Secondo il Martirologio Romano invece: “A Roma, sulla via Salaria, la passione del beato Getulio, uomo chiarissimo e dottissimo, padre dei sette fratelli martiri, avuti dalla santa sua moglie Sinforosa; e dei suoi compagni Cereale, Amanzio e Primitivo. Tutti questi, per ordine dell'imperatore Adriano, presi da Licinio
Consolare, prima furono flagellati, quindi chiusi in prigione, finalmente gettati al fuoco, ma per nulla offesi dalle fiamme, spezzato loro il capo con bastoni, compirono il martirio. I loro corpi furono raccolti da Sinforosa, moglie del beato Getulio, e onorevolmente sepolti nell'arenario del suo podere”. Il Martirologo di Adone così riporta: “consumati sunt beati Martyres Gethulii in fundo Capriolis, viam Salariam, ab urbe Romam, plus minus miliario decimotertio, supra flumium Tiberim, in partem Savinensium”, e così altri Martirologi. Gli antichi codici citano dunque con minuziosa precisione il luogo del martirio, che sarebbe chiamato “Capris”. Santa Sinforosa dunque raccolse le spoglie del martire Getulio, e le seppellì nel suo fondo di “Capris in Sabina”, nel corso superiore del fiume Tevere. Questo territorio nel Medioevo prese il nome di “Corte di San Getulio”, perché qui in suo onore fu innalzata una chiesa dove per molto tempo furono custodite le spoglie del martire. Nell’867 per evitare che i Saraceni profanassero il corpo di San Getulio nell’omonima corte, l’abate Pietro di Farfa lo traslocò all’interno del monastero farfense, con una solenne cerimonia e una grande partecipazione di fedeli, come del resto avveniva in ogni traslazione di reliquie. Il territorio della corte di San Getulio, oggi detto di Villa Caprola fu concesso agli abitanti di Montopoli dall’abate farfense Nicolò II (1387-1390). Da allora questo territorio è sempre appartenuto a Montopoli e ancora oggi fa parte del comune di questo paese sabino. I resti del Santo si trovano oggi a Roma, all’altare maggiore della chiesa di Sant’Angelo in Pescheria. Le reliquie di San Getulio, insieme a quelle di Santa Sinforosa ed i 7 figli, furono rinvenute proprio a Sant’Angelo in Pescheria da Pio IV (1560-1565) che le fece esporre alla venerazione dei fedeli in una urna di vetro. Nel 1584 parte delle loro reliquie, tra queste il capo di Getulio, furono donate da Gregorio XIII ai Gesuiti, oggi sono in una cappella presso Villa d’Este. Altre vennero portate nei collegi gesuiti dell’India e della Spagna (25 giugno 1572), altre ancora in alcune chiese di Roma. Per frenare questa emorragia, il 26 settembre 1587 il governatore di Roma Mariano Perbenedetti le fece chiudere nel sarcofago di marmo, oggi posto all’altare maggiore. Nello stesso sarcofago vennero collocati anche i resti dei santi Ciro e Giovanni.
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