Il culto per san Vito è attestato dalla fine del V secolo, ma le notizie sulla sua vita sono poche e scarsamente attendibili. Alcuni antichi testi lo dicono lucano, ma la ‘Passio’ leggendaria del VII secolo, lo dice siciliano; nato secondo la tradizione a Mazara del Vallo in una ricca famiglia, rimasto orfano della madre, fu affidato a una nutrice, Crescenzia, e poi al pedagogo Modesto, che essendo cristiani lo convertirono alla loro fede. Aveva sui sette anni, quando
cominciò a fare prodigi e quando nel 303 scoppiò in tutto l’impero romano la persecuzione di Diocleziano contro i cristiani, Vito era già molto noto nella zona di Mazara. Il padre non riuscendo a farlo abiurare lo denunziò al preside Valeriano, che ordinò di arrestarlo. Il preside Valeriano, con minacce e lusinghe, tentò di farlo abiurare, anche con l’aiuto degli accorati appelli del padre, ma senza riuscirci; il ragazzo aveva come sostegno, con il loro esempio di coraggio e fedeltà a Cristo, la nutrice Crescenzia e il maestro Modesto, anche loro arrestati. Visto l’inutilità dell’arresto, il preside lo rimandò a casa, allora il padre tentò di farlo sedurre da alcune donne compiacenti, ma Vito fu incorruttibile e quando Valeriano stava per farlo arrestare di nuovo, un angelo apparve a Modesto, ordinandogli di partire su una barca con il ragazzo e la nutrice. Durante il viaggio per mare, un’aquila portò loro acqua e cibo, finché sbarcarono alla foce del Sele sulle coste del Cilento, inoltrandosi poi in Lucania (antico nome della Basilicata, ripristinato anche dal 1932 al 1945). Vito continuò a operare miracoli, testimoniando insieme ai due suoi accompagnatori la sua fede con la parola e con i prodigi, finché non venne rintracciato dai soldati di Diocleziano, che lo condussero a Roma dall’imperatore, il quale saputo della fama di guaritore del ragazzo, l’aveva fatto cercare per mostrargli il figlio coetaneo di Vito, ammalato di epilessia, malattia che all’epoca era molto impressionante, tale da considerare l’ammalato un indemoniato. Vito guarì il ragazzo e come ricompensa Diocleziano ordinò di torturarlo, perché si rifiutò di sacrificare agli dei. Venne immerso in un calderone di pece bollente, da cui ne uscì illeso; poi lo gettarono fra i leoni che invece di assalirlo, diventarono improvvisamente mansueti e gli leccarono i piedi. I torturatori non si arresero e appesero Vito, Modesto e Crescenzia a un cavalletto, ma mentre le loro ossa venivano straziate, la terra cominciò a tremare e gli idoli caddero a terra; lo stesso Diocleziano fuggì spaventato. Comparvero degli angeli che li liberarono e riportarono presso il fiume Sele allora in Lucania, oggi Campania, dove essi, ormai sfiniti dalle torture subite, morirono il 15 giugno 303; non si è riusciti a definire l’età di Vito quando morì, alcuni studiosi dicono 12 anni, altri 15 e altri 17. Il martirio in Lucania è l’unica notizia attendibile su san Vito, mentre tutto il resto finisce nella leggenda. Il suo culto si diffuse in tutta la Cristianità, poiché colpiva soprattutto la giovane età del martire e le sue doti taumaturgiche, è infatti invocato contro l’epilessia e la corea, una malattia nervosa che dà movimenti incontrollabili e per questo è detta “ballo di san Vito”; poi è invocato contro il bisogno eccessivo di sonno e la catalessi, ma anche contro l’insonnia ed i morsi dei cani rabbiosi e l’ossessione demoniaca. Protegge i muti, i sordi e singolarmente anche i ballerini, per la somiglianza nella gestualità agli epilettici. Per il grande calderone in cui fu immerso, è anche patrono dei calderai, ramai e bottai. Secondo una versione tedesca della leggenda, nel 756 l’abate Fulrad di Saint-Denis, avrebbe fatto trasportare le reliquie di san Vito nel suo monastero di Parigi; poi nell’836 l’abate Ilduino le avrebbe donate al monastero di Korway nel Weser, che divenne un centro importante nel Medioevo, della devozione del giovane martire. Durante la guerra dei Trent’anni (1618-48), le reliquie scomparvero da Korwey e raggiunsero nella stessa epoca Praga in Boemia, dove la cattedrale costruita nel X secolo, era dedicata al santo; a lui è consacrata una splendida cappella. Delle reliquie di san Vito è piena l’Europa; circa 150 cittadine vantano di possedere sue reliquie o frammenti, compreso Mazara del Vallo, che conserva un braccio, un osso della gamba e altri più piccoli. Nella città ritenuta suo luogo di nascita, san Vito è festeggiato ogni anno con una solenne e tipica processione, che si svolge fra la terza e la quarta domenica d’agosto. Il “fistinu” in onore del santo patrono, ricorda la traslazione delle suddette reliquie, avvenuta nel 1742 per opera del vescovo Giuseppe Stella. La processione, indicata come la più mattiniera d’Italia, inizia alle quattro del mattino, con il trasporto della statua d’argento del santo, posta sul Carro trionfale, trainato a braccia dai pescatori, fino alla chiesetta di San Vito a Mare, accompagnato da una suggestiva fiaccolata e da fuochi d’artificio; da questo luogo si crede sia partito con la barca per sfuggire al padre e al preside Valeriano. Una seconda processione è quella celebre storica-ideale a quadri viventi, su una serie di carri, sui quali sono rappresentate da fedeli, con gli abiti dell’epoca, scene della sua vita e del suo martirio; chiude la processione il già citato carro trionfale. “U fistinu” si conclude nell’ultima domenica d’agosto, con un’ultima processione del carro trionfale diretto al porto-canale e da lì il simulacro di san Vito, viene issato su uno dei pescherecci e seguito da un centinaio di altri pescherecci e barche, giunge fino all’altezza della chiesetta di San Vito al Mare, per ritornare infine al porto. A Roma esiste la chiesa dei santi Vito e Modesto, dove in un affresco, oltre il giovanetto, compaiono anche Modesto con il mantello da maestro e Crescenzia in aspetto matronale con il velo. Nell’area germanica san Vito è rappresentato come un ragazzo sporgente da un grosso paiolo, con il fuoco acceso sotto. Il santuario in cui è venerato nell’allora Lucania, oggi nel Comune di Eboli in Campania, denominato San Vito al Sele, era detto “Alecterius Locus” cioè “luogo del gallo bianco”; nella vicina città di Capaccio, nella chiesa di San Pietro, è custodita una reliquia del santo, mentre nella frazione Capaccio Scalo, è sorta un’altra chiesa parrocchiale dedicata anch’essa a San Vito; la diocesi di questi Comuni in cui il culto di san Vito è così forte, perché qui morì con i suoi compagni di martirio, si chiama tuttora Vallo della Lucania, pur essendo in provincia di Salerno. Il santo è anche patrono di Recanati e nella sola Italia, ben 11 Comuni portano il suo nome. Numerose sono le chiese a lui dedicate nella Diocesi di Senigallia, molte scomparse da secoli. Sopravvive invece l’antichissima chiesa di San Vito di Montenovo, oggi Ostra Vetere, che nel 1860 avrebbe dovuto diventare parrocchiale rurale al posto della parrocchiale urbana di San Severo.
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