Massimiliano Maria Kolbe, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali e martire, nacque il 7 gennaio 1894 a Zdunska-Wola in Polonia, da genitori ferventi cristiani, che gli imposero il nome di Raimondo. Papà Giulio, operaio tessile era un patriota che non sopportava la divisione della Polonia di allora in tre parti, dominate da Russia, Germania e Austria; dei cinque figli avuti, rimasero in vita ai Kolbe solo tre, Francesco, Raimondo e Giuseppe. A causa delle scarse risorse finanziarie solo il primogenito poté frequentare la scuola, mentre Raimondo cercò di imparare qualcosa tramite un prete e poi con il farmacista del paese; nella zona austriaca, a Leopoli, si stabilirono i francescani che, conosciuti i Kolbe, proposero ai genitori di accogliere nel loro collegio i primi due fratelli più grandi; essi, consci che nella zona russa dove
risiedevano non avrebbero potuto dare un indirizzo e una formazione intellettuale e cristiana ai propri figli, a causa del regime imperante, accondiscesero; anzi liberi ormai della cura dei figli, il 9 luglio 1908, decisero di entrare loro stessi in convento, Giulio nei Terziari francescani di Cracovia, ma morì ucciso non si sa bene se dai tedeschi o dai russi, per il suo patriottismo, mentre la madre Maria divenne francescana a Leopoli. Anche il terzo figlio Giuseppe dopo un periodo in un pensionamento benedettino, entrò fra i francescani. I due fratelli Francesco e Raimondo dal collegio passarono entrambi nel noviziato francescano, ma il primo in seguito ne uscì, dedicandosi alla carriera militare, prendendo parte alla Prima Guerra Mondiale e scomparendo in un campo di concentramento. Raimondo, divenuto Massimiliano, dopo il noviziato fu inviato a Roma, dove restò sei anni, laureandosi in filosofia all’Università Gregoriana e in teologia al Collegio Serafico, venendo ordinato sacerdote il 28 aprile 1918. Nel suo soggiorno romano avvennero due fatti particolari, uno riguardo la sua salute, un giorno cominciò a perdere sangue dalla bocca e fu l’inizio della malattia di tubercolosi che l’accompagnò per tutta la vita. Poi in quei tempi influenzati dal Modernismo e forieri di totalitarismi sia di destra che di sinistra, che avanzavano a grandi passi mentre l’Europa si avviava a un secondo conflitto mondiale, Massimiliano Kolbe, non ancora sacerdote, fondava con il permesso dei superiori l’associazione religiosa “Milizia dell’Immacolata”. Ritornato in Polonia a Cracovia, pur essendo laureato a pieni voti, a causa della malferma salute era inutilizzabile nell’insegnamento o nella predicazione, non potendo parlare a lungo; per cui si dedicò alla “Milizia dell’Immacolata”, raccogliendo numerose adesioni fra i religiosi del suo Ordine, professori e studenti dell’Università, professionisti e contadini. Fondò quindi a Cracovia, verso il Natale del 1921, un giornale di poche pagine “Il Cavaliere dell’Immacolata” per alimentare lo spirito e la diffusione della “Milizia”. A Grodno a 600 km da Cracovia, dove era stato trasferito, impiantò con vecchi macchinari l’officina per la stampa del giornale, che attirava molti giovani, mentre la tiratura della stampa aumentava sempre più. A Varsavia con la donazione di un terreno da parte del conte Lubecki, fondò “Niepokalanow”, la ‘Città di Maria’; dalle prime capanne si passò a edifici in mattoni, dalla vecchia stampatrice si passò alle moderne tecniche di stampa e composizione, dai pochi operai ai 762 religiosi di dieci anni dopo, il “Cavaliere dell’Immacolata” raggiunse la tiratura di milioni di copie, a cui si aggiunsero altri sette periodici. Con il suo ardente desiderio di espandere il suo Movimento mariano oltre i confini polacchi, si recò in Giappone, dove poté fondare la “Città di Maria” a Nagasaki; il 24 maggio 1930 aveva già una tipografia e si spedivano le prime diecimila copie de “Il Cavaliere” in lingua giapponese. In questa città si rifugeranno gli orfani di Nagasaki, dopo l’esplosione della prima bomba atomica; collaborando con ebrei, protestanti, buddisti, era alla ricerca del fondo di verità esistente in ogni religione; aprì una Casa anche ad Ernakulam in India sulla costa occidentale. Tuttavia, per poterlo curare della malattia, fu richiamato in Polonia a Niepokalanow. Ma ormai la Seconda Guerra Mondiale era alle porte e dopo l’invasione del 1° settembre 1939 i nazisti ordinarono lo scioglimento di Niepokalanow: rimasero circa 40 frati, che trasformarono la ‘Città’ in un luogo di accoglienza per feriti, ammalati e profughi. Il 19 settembre 1939, i tedeschi prelevarono padre Kolbe e gli altri frati, portandoli in un campo di concentramento, da dove furono inaspettatamente liberati l’8 dicembre; ritornati a Niepokalanow, ripresero la loro attività di assistenza per circa 3500 rifugiati di cui 1500 erano ebrei, ma durò solo qualche mese, poi i rifugiati furono dispersi o catturati e lo stesso Kolbe, dopo un rifiuto di prendere la cittadinanza tedesca per salvarsi, visto l’origine del suo cognome, il 17 febbraio 1941 insieme a quattro frati, venne imprigionato. Dopo aver subito maltrattamenti dalle guardie del carcere, indossò un abito civile, perché il saio francescano li adirava moltissimo. Il 28 maggio fu trasferito al campo di sterminio di Auschwitz, vicino a Cracovia in Polonia, dove i suoi quattro confratelli l’avevano preceduto un mese prima; fu messo insieme agli ebrei perché sacerdote, con il numero 16670 e addetto ai lavori più umilianti come il trasporto dei cadaveri al crematorio. Alla fine di luglio fu trasferito al Blocco 14, dove i prigionieri erano addetti alla mietitura nei campi; uno di loro riuscì a fuggire e secondo l’inesorabile legge del campo, dieci prigionieri vennero destinati al bunker della morte. Padre Kolbe si offrì in cambio di uno dei prescelti, un padre di famiglia, suo compagno di prigionia. La disperazione che s’impadronì di quei poveri disgraziati, venne attenuata e trasformata in preghiera comune, guidata da padre Kolbe e un po’ alla volta essi si rassegnarono alla loro sorte; morirono con una iniezione di acido fenico mentre il francescano martire volontario tese il braccio dicendo “Ave Maria”, furono le sue ultime parole, era il 14 agosto 1941. Le sue ceneri si mescolarono insieme a quelle di tanti altri condannati, nel forno crematorio. Il suo fulgido martirio gli ha aperto la strada della beatificazione, avvenuta il 17 ottobre 1971 con papa Paolo VI e poi è stato canonizzato il 10 ottobre 1982 da papa Giovanni Paolo II, suo concittadino.
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