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Santo del giorno 28 agosto Sant'Agostino vescovo e dottore della Chiesa PDF Stampa E-mail
Mercoledì 28 Agosto 2013 00:00

Santo del giorno 28 agosto Sant'Agostino vescovo e dottore della ChiesaSant'Agostino Aurelio nacque in Africa a Tagaste, nella Numidia - attualmente Souk-Ahras in Algeria - il 13 novembre 354 da una famiglia di classe media di piccoli proprietari terrieri. Il padre Patrizio era pagano, mentre la madre Monica, che aveva avuto tre figli, dei quali Agostino era il primogenito, era invece cristiana; fu lei a dargli un’educazione religiosa ma senza battezzarlo, come si usava allora, volendo attendere l’età matura. Ebbe un’infanzia molto vivace, ma non certamente piena di peccati, come farebbe pensare una sua frase scritta nelle “Confessioni” dove si dichiara gran peccatore fin da piccolo. I peccati veri cominciarono più tardi; dopo i primi studi a Tagaste e poi nella vicina Madaura, si recò a Cartagine nel 371, con l’aiuto di un facoltoso signore del luogo di nome Romaniano; Agostino aveva 16 anni e viveva la sua adolescenza in modo molto vivace ed esuberante e mentre frequentava la scuola di un retore, cominciò a convivere con una ragazza cartaginese, che gli diede nel 372, anche un figlio, Adeodato. Questa relazione sembra che sia durata 14 anni, quando nacque inaspettato il figlio; Agostino fu costretto a riportare la sua condotta inconcludente e dispersiva su una più retta strada e a concentrarsi negli studi, per i quali si trovava a Cartagine. Ultimati gli studi, tornò nel 374 a Tagaste, dove con l’aiuto del suo benefattore Romaniano, aprì una scuola di grammatica e retorica, e fu anche ospitato nella sua casa con tutta la famiglia, perché la madre Monica aveva preferito separarsi da Agostino, non condividendo le sue scelte religiose; solo più tardi lo riammise nella sua casa, avendo avuto un sogno premonitore, sul suo ritorno alla fede cristiana. Dopo due anni nel 376, decise di lasciare il piccolo paese di Tagaste e ritornare a Cartagine e sempre con l’aiuto dell’amico Romaniano, che egli aveva convertito al manicheismo, aprì anche qui una scuola, dove insegnò per sette anni, purtroppo con alunni poco disciplinati. Agostino però tra i manichei non trovò mai la risposta certa al suo desiderio di verità e dopo un incontro con un loro vescovo, Fausto, avvenuto nel 382 a Cartagine, che avrebbe dovuto fugare ogni dubbio, ne uscì non convinto e quindi prese ad allontanarsi dal manicheismo. Desideroso di nuove esperienze e stanco dell’indisciplina degli alunni cartaginesi, Agostino resistendo alle preghiere dell’amata madre, che voleva trattenerlo in Africa, decise di trasferirsi a Roma, capitale dell’impero, con tutta la famiglia. A Roma, con l’aiuto dei manichei, aprì una scuola, ma non fu a suo agio, gli studenti romani, furbescamente, dopo aver ascoltate con attenzione le sue lezioni, sparivano al momento di pagare il pattuito compenso. Subì una malattia gravissima che lo condusse quasi alla morte, nel contempo poté constatare che i manichei romani, se in pubblico ostentavano una condotta irreprensibile e casta, nel privato vivevano da dissoluti; disgustato se ne allontanò per sempre. Nel 384 riuscì a ottenere, con l’appoggio del prefetto di Roma, Quinto Aurelio Simmaco, la cattedra vacante di retorica a Milano, dove si trasferì, raggiunto nel 385 inaspettatamente dalla madre Monica. A Milano conobbe sant'Ambrogio e fu la tappa decisiva della sua conversione; ebbe l’opportunità di ascoltare i sermoni di sant’Ambrogio che teneva regolarmente in cattedrale, ma fu la frequentazione con un anziano sacerdote, san Simpliciano, che aveva preparato sant’Ambrogio all’episcopato, a dargli l’ispirazione giusta. Un successivo incontro con sant’Ambrogio, procuratogli dalla madre, si rivelò importante per il cammino di Agostino convertito alla fede cattolica. A casa di un amico Ponticiano, questi gli aveva parlato della vita casta dei monaci e di sant’Antonio abate, dandogli anche il libro delle Lettere di San Paolo. Dopo qualche settimana ancora d’insegnamento di retorica, Agostino lasciò tutto, ritirandosi insieme alla madre, il figlio e alcuni amici, a una trentina di km. da Milano, a Cassiciaco, in meditazione e in conversazioni filosofiche e spirituali; volle sempre presente la madre, perché partecipasse con le sue parole sapienti. Nella Quaresima del 386 ritornarono a Milano per una preparazione specifica al Battesimo, che Agostino, il figlio Adeodato e l’amico Alipio ricevettero nella notte del Sabato Santo dalle mani di sant’Ambrogio. Intenzionato a creare una Comunità di monaci in Africa, decise di ritornare nella sua patria e nell’attesa della nave, la madre Monica improvvisamente si ammalò di una febbre maligna (forse malaria) e il 27 agosto del 387 morì a 56 anni. Il suo corpo trasferito a Roma si venera nella chiesa di Sant’Agostino ed essa è considerata il modello e la patrona delle madri cristiane. Dopo qualche mese trascorso a Roma per approfondire la sua conoscenza sui monasteri e le tradizioni della Chiesa, nel 388 ritornò a Tagaste, dove vendette i suoi pochi beni, distribuendone il ricavato ai poveri e ritiratosi con alcuni amici e discepoli, fondò una piccola comunità, dove i beni erano in comune proprietà. Ma dopo un po’ l’affollarsi continuo dei concittadini, per chiedere consigli e aiuti, disturbava il dovuto raccoglimento; fu così necessario trovare un altro posto e Agostino lo cercò presso Ippona. Trovatosi per caso nella basilica locale, in cui il vescovo Valerio, stava proponendo ai fedeli di consacrare un sacerdote che potesse aiutarlo, specie nella predicazione; accortasi della sua presenza, i fedeli presero a gridare: “Agostino prete!” allora si dava molto valore alla volontà del popolo, considerata volontà di Dio e nonostante che cercasse di rifiutare, perché non era questa la strada voluta, Agostino fu costretto ad accettare. La sua opera fu fecondissima e per prima cosa chiese al vescovo di trasferire il suo monastero ad Ippona, per continuare la sua scelta di vita, che in seguito divenne un seminario fonte di preti e vescovi africani. Scrisse anche una Regola, che poi nel IX secolo venne adottata dalla Comunità dei Canonici Regolari o Agostiniani. Il vescovo Valerio, nel timore che Agostino venisse spostato in altra sede, convinse il popolo e il primate della Numidia, Megalio di Calama, a consacrarlo vescovo coadiutore di Ippona; nel 397 morto Valerio, egli gli successe come titolare. Dovette così lasciare il monastero e intraprendere la sua intensa attività di pastore di anime, che svolse egregiamente, tanto che la sua fama di vescovo illuminato si diffuse in tutte le Chiese Africane. Fu per trentaquattro anni maestro del suo gregge, che istruì con sermoni e numerosi scritti, con i quali combatté anche strenuamente contro gli errori del suo tempo: il Manicheismo che conosceva bene, il Donatismo sorto a opera del vescovo Donato e il Pelagianesimo propugnato dal monaco bretone Pelagio. Egli fu maestro indiscusso nel confutare queste eresie e i vari movimenti che a esse si rifacevano; i suoi interventi non solo illuminarono i pastori di anime dell’epoca, ma determinarono anche per il futuro, l’orientamento della teologia cattolica in questo campo. Le sue opere teologiche, mistiche, filosofiche e polemiche - quest'ultime riflettono l'intensa lotta che Agostino intraprende contro le eresie, a cui dedica parte della sua vita - sono tutt'ora oggetto di studio per la formazione cristiana. Agostino per il suo pensiero, racchiuso in testi come «Confessioni» o «Città di Dio», ha meritato il titolo di Dottore della Chiesa. Mentre Ippona era assediata dai Vandali comandati da Genserico († 477) che aveva portato morte e distruzione dovunque, nel 429 il santo si ammalò gravemente ed ebbe l’impressione della prossima fine del mondo. Morì il 28 agosto del 430 all'età di 76 anni. Il suo corpo, sottratto ai Vandali durante l’incendio e distruzione di Ippona, venne trasportato poi a Cagliari dal vescovo Fulgenzio di Ruspe, verso il 508-517 circa, insieme alle reliquie di altri vescovi africani. Verso il 725 il suo corpo fu di nuovo traslato a Pavia, nella Chiesa di San Pietro in Ciel d’Oro, non lontano dai luoghi della sua conversione, a opera del pio re longobardo Liutprando († 744), che l’aveva riscattato dai saraceni della Sardegna.

Da: http://www.santiebeati.it