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NoSanto del giorno 1° luglio: Beato Antonio Rosmini sacerdote e fondatore |
Giovedì 01 Luglio 2021 00:00 |
Infanzia e prima educazione Antonio Rosmini nacque a Rovereto, in provincia e diocesi di Trento, il 24 marzo 1797 da Pier Modesto, patrizio del Sacro Romano Impero, e da Giovanna dei Conti Formenti di Biacesa del Garda. Fu battezzato nella chiesa parrocchiale di San Marco in Rovereto il 25 marzo 1797. Sempre nella medesima parrocchia si accostò alla Prima Comunione e ricevette la Cresima. Trascorse la fanciullezza in un ambiente impregnato di virtù patriarcali e religiosità. Dalla madre, donna intelligente e affettuosa, ricevette semi di bontà e di religiosità. Educato negli studi elementari in casa, frequentò la scuola pubblica per il ginnasio e per il liceo. Presto si manifestarono in lui una notevole serietà morale e un’apertura agli interessi culturali, unita a una spiccata inclinazione alla filosofia. A 16 anni rivelò l’inizio di una vera aspirazione ascetica: nella notte del 31 dicembre 1813, sul suo diario, annotò la scoperta che solo in Dio risiede la vera sapienza. Vocazione sacerdotale Antonio decise allora di farsi sacerdote: dovette però vincere le resistenze dei familiari, che vedevano in lui l’erede del casato. Nel 1816 s’iscrisse all’Università di Padova, dedicandosi come studente ad ogni specie di ricerca filosofica, scientifica, storica e letteraria. Lì conobbe Niccolò Tommaseo, che gli rimase amico per tutta la vita. Nel 1820, alla morte del padre, Antonio divenne erede di tutto il patrimonio familiare; tuttavia, questo complicò il suo rapporto con il fratello Giuseppe. Aveva un’altra sorella, Gioseffa Margherita, la maggiore dei tre: dotata di un animo sensibile, si dedicava da tempo all’istruzione delle bambine povere. Il “principio di passività” Antonio venne ordinato sacerdote il 21 aprile 1821 a Chioggia. Subito dopo trascorse un periodo di raccoglimento e riflessione a Rovereto. Col tempo, maturò una decisione importante: doveva attendere alla purificazione dell’anima dal male e all’acquisto dell’amore o carità di Dio e del prossimo, in cui consiste la perfezione. Quanto al resto - studio, attività, lavoro, condizione di vita - non avrebbe scelto da sé questa o quella attività, fosse pure un’opera di carità. Avrebbe piuttosto lasciato a Dio di indicargli come agire, attraverso le circostanze esteriori «esaminate al lume della ragione e della fede». È il principio cosiddetto di “passività” o di “indifferenza”, che comporta una costante disposizione interiore a volere unicamente e totalmente ciò che vuole Dio. La “passività” che Rosmini s’impose era rigida disciplina, consacrazione totale, immolazione al bene nel modo che Dio avrebbe voluto per lui, senza condizioni né riserve. Il rapporto con santa Maddalena di Canossa Il 24 febbraio 1820, quand’era ancora suddiacono, don Antonio aveva incontrato la marchesa Maddalena di Canossa (canonizzata nel 1988), accompagnando sua sorella, che ammirava la sua opera per le fanciulle povere, a visitarla a Verona. All’ingresso di Margherita, nell’ottobre 1824, tra le Figlie della Carità da lei fondate, Maddalena rinnovò al fratello il suo invito: avrebbe dovuto aiutarla nella fondazione del ramo maschile, i Figli della Carità. Don Antonio accettò; tuttavia, dopo un proficuo scambio di lettere, fu chiaro a entrambi che esistevano delle divergenze tra i loro progetti. Infatti Maddalena pensava che l’Istituto dovesse essere composto da religiosi sia sacerdoti sia fratelli, mentre don Antonio prima pensò che dovessero esserci unicamente religiosi del secondo tipo, poi solo sacerdoti. L’Istituto della Carità Nell’inverno 1826, don Antonio si trasferì a Milano, in piazza San Sepolcro, non lontano da dove abitava il cugino Carlo Rosmini. Strinse amicizie importanti, come quella con lo scrittore Alessandro Manzoni e con il conte e benefattore Giacomo Mellerio. Fu proprio a casa del conte che, nel 1827, conobbe un sacerdote tedesco, don Giovanni Battista Loewenbruck, che era intenzionato a fondare una “società” di sacerdoti. Di lì a poco, fu trovato il luogo esatto dove istituirla: il monte Calvario, a Domodossola. Don Antonio capì che era giunto il momento che aspettava: del resto, la Canossa gli aveva suggerito che la futura congregazione dovesse germogliare «veramente sul Calvario tra Gesù Crocifisso e Maria SS. Addolorata». Il 18 febbraio 1828, quindi, si ritirò sul Calvario di Domodossola, per preparare le Costituzioni del nascente istituto. Il nome che scelse fu quello di “Istituto della Carità”: quanto ai fini, esso avrebbe avuto come base il professare la carità “universale”, ossia la carità spirituale, intellettuale e corporale, per il bene del prossimo. Agli aderenti sarebbe stato chiesto di essere disposti a qualunque opera venisse loro affidata. Gli inizi come scrittore e i primi contrasti Nel 1829 papa Pio VIII approvò il progetto dell’Istituto, ma incoraggiò il fondatore a darsi alla scrittura, «per prendere gli uomini con la ragione e per mezzo di questa condurli alla religione».In quel modo avrebbe potuto influire utilmente sulle coscienze scosse dalle teorie scaturite dalla Rivoluzione Francese, dall’ordine imposto da Napoleone Bonaparte, dalla Restaurazione, dal clima anticlericale imperante. Già dal 1823, però, era considerato con sospetto da parte del governo austriaco, sotto cui cadeva l’attuale Trentino: a Rovereto, in quell’anno, aveva infatti pronunciato un discorso per il defunto papa Pio VII, dichiarando il proprio amore per l’Italia. Nel 1830 pubblicò la sua prima opera filosofica, «Nuovo saggio sull’origine delle idee». Le Suore della Provvidenza Mentre i confratelli crescevano di numero, don Antonio si ritrovò a guidare anche un gruppo di giovani donne, incontrate da don Giovanni Battista Loewenbruck durante le sue peregrinazioni missionarie. Per loro scelse un convento abbandonato a Locarno, in Svizzera, come nuova casa, dopo averle inviate per la formazione dalle Suore della Provvidenza, fondate in Francia dal sacerdote Jean-Martin Moyë (beatificato nel 1954) e rinate, dopo la Rivoluzione Francese, a Portieux. Senza avvertire don Antonio, don Giovanni Battista accolse l’invito del marchese Tancredi Falletti di Barolo (per il quale è aperta la causa di beatificazione), che aveva bisogno di alcune suore per l’asilo infantile che aveva aperto nel suo palazzo: dopo la vestizione, le tre giovani scelte entrarono in servizio il 23 giugno 1832. Don Antonio protestò vivamente col suo sottoposto, tanto più che le stesse suore erano quasi illetterate: le fece richiamare a Locarno e iniziò lui stesso a porre basi più solide per loro. Le trasse in parte da quelle dell’Istituto della Carità, in parte dalle Regole delle Suore della Provvidenza francesi. Parroco a Rovereto, mentre i due rami si espandono Don Antonio venne nominato parroco-arciprete a Rovereto. Fece il suo ingresso il 5 ottobre 1834 nella parrocchia di San Marco, dove si fece ben volere da gran parte dei suoi fedeli. Istituì l’oratorio per i ragazzi e per gli adulti, poi visitava regolarmente le scuole e gli ospedali. Celebrava con cura e rispetto i Sacramenti e trascorreva ore in confessionale, a dispetto del mal di stomaco che l’accompagnava da tempo. Aprì poi una casa dell’Istituto della Carità anche a Trento. Tuttavia, per l’aperta ostilità degli austriaci verso di lui, dovette chiuderla nel 1835 e trasferirsi di nuovo a Milano. Nel 1838 papa Gregorio XVI approvò l’Istituto della Carità e le Suore della Provvidenza, nominando don Antonio Rosmini Superiore Generale. Intanto, i suoi religiosi partirono per le missioni in Inghilterra, cooperando alla restaurazione della gerarchia cattolica; da lì passano in Irlanda. Lo spirito dell’Istituto, di sua natura “universale”, fece sì che i padri rosminiani, com’erano ormai noti, si adattassero sapientemente. Anche le Suore della Provvidenza proseguirono il loro cammino, guidate da suor Maria Giovanna Antonietti (al secolo Maria Camilla) come superiora generale. Altre opere filosofiche e altri contrasti Intanto don Antonio continuava la sua opera di scrittore, che tendeva a conciliare il pensiero tradizionale con le conquiste del pensiero moderno. Nel 1839 pubblico il «Nuovo saggio» e il «Trattato della coscienza morale», che contengono i fondamenti del suo pensiero filosofico. Secondo quanto scrisse, l’intelligenza è illuminata dalla luce dell’essere - o essere ideale - che è la luce della verità, per cui vi è nell’uomo qualcosa di “divino”. Cominciarono però le prime contestazioni degli avversari al suo pensiero: accusavano che le sue dottrine fossero contrarie alla fede e alla morale. La polemica, dopo un suo personale intervento, proseguì con la difesa da parte dei suoi amici e discepoli. Dovette intervenire il Papa stesso, imponendo il silenzio a Rosmini e al Generale dei Gesuiti, suo contraddittore. Lo scrittore Alessandro Manzoni, che l’aveva conosciuto nel 1826, lo definì, difendendolo: «Una delle cinque o sei più grandi intelligenze, che l’umanità aveva prodotto a distanza di secoli». Al seguito di papa Pio IX Il governo piemontese di Carlo Alberto, in un momento difficile della prima guerra d’indipendenza, decise di inviare come plenipotenziario a Roma da papa Pio IX proprio Rosmini. Il Pontefice, nell’agosto 1848, l’accolse con affetto e stima, annunciandogli la porpora cardinalizia per il dicembre successivo. Tuttavia, a novembre scoppiò la guerra per l’indipendenza italiana: Pio IX, costretto a fuggire a Gaeta, chiese a Rosmini di seguirlo. Poco prima era stato pubblicato il libro «Delle cinque piaghe della santa Chiesa», che don Antonio aveva cominciato a scrivere nel 1832. In esso metteva in guardia dai pericoli che, a suo parere, minacciavano l’unità e la libertà della Chiesa: la distanza del popolo di Dio dalla liturgia; la scarsa educazione e formazione del clero; la divisione dei vescovi tra loro; la nomina dei vescovi lasciata al potere politico; la gestione dei beni ecclesiastici. Mentre denunciava quelle “piaghe”, da lui messe in parallelo con quelle inferte al corpo di Cristo in Croce, ne indicava di pari passo i rimedi. Un clima sfavorevole Con l’ostilità sempre presente dell’Austria, però, venne a crearsi un clima sfavorevole per lui. Il governo borbonico di Napoli non lo volle sulle sue terre, mentre le udienze pontificie gli vennero ostacolate. Anzi, il Papa stesso, preoccupato per le ombre che si addensavano sulle sue dottrine, nel 1849 lo esortò per iscritto a «riflettere, modificare, correggere o ritrattare le opere stampate». Ad ogni modo, nonostante la sua disponibilità alla correzione, due suoi libri vennero inseriti nell’Indice dei Libri Proibiti nel giugno 1849, con suo grande dolore. In quell’oscuro periodo, al seguito del papa a Napoli, scrisse l’«Introduzione del Vangelo secondo Giovanni commentata». Ritorno a Stresa In quella situazione di dubbio dottrinario e con due libri condannati, non poteva stare più vicino al Pontefice: lo lasciò libero di rientrare a Stresa nel 1849, per raggiungere i suoi confratelli. Nel suo ritiro continuò a guidare le due Congregazioni e compose la sua opera più alta, la «Teosofia». Quanto a ciò che gli era accaduto, era sempre più convinto che fosse tutta opera della Provvidenza: «Io, meditando la Provvidenza, l’ammiro; ammirandola, l’amo; amandola, la celebro; celebrandola, la ringrazio; ringraziandola, m’empio di letizia. E come farei altrimenti se so per ragione e per fede, e lo sento coll’intimo spirito che tutto ciò che si fa, o voluto o permesso da Dio, è fatto da un eterno, da un infinito, da un essenziale Amore?», scrisse a un amico sacerdote. L’ultimo esame Intanto, i suoi avversari ripresero ad attaccarlo, finendo per provocare da parte di Pio IX un esame approfondito di tutte le opere di Rosmini. L’esame durò quattro anni: il fondatore era angosciato non tanto per sé, quanto per il danno che venivano a subire le due congregazioni. L’esame finì nel 1854, con il decreto «Dimittantur». Alla seduta finale partecipò lo stesso papa Pio IX, che, dopo la sentenza definitiva di assoluzione, esclamò: «Sia lodato Iddio, che manda di quando in quando di questi uomini per il bene della Chiesa». La malattia e la morte Ormai, però, don Antonio era ormai prossimo alla fine della sua vita: la malattia al fegato che l’aveva accompagnato per tutta la vita, si acutizzò, procurandogli mesi di malattia. Mentre il suo fisico si consumava tra dolori senza sosta, il suo spirito si affinava nella sofferenza. Al suo capezzale si alternarono amici, ammiratori, discepoli, persone che vollero esternargli l’affetto, la stima, la gratitudine che provavano, chiedendo da lui ancora una benedizione, una buona parola. Ad Alessandro Manzoni, accorso da lui benché ammalato, diede un’ultima consegna: «Adorare, tacere, godere». Morì il 1° luglio 1855, a 58 anni. Le sue spoglie mortali furono deposte in una tomba in marmo rosa di Candoglia, collocata nella cripta del Santuario del SS. Crocifisso, annesso a quello che un tempo era il noviziato dell’Istituto della Carità a Stresa (oggi nella provincia del Verbano-Cusio-Ossola). Sopra la cripta, una cappella con la statua in marmo bianco di Carrara, opera di Vincenzo Vela, che reca incise sulla base le parole scritte da Gregorio XVI in occasione dell'approvazione delle Regole comuni del'Istituto della Carità. La “Questione Rosminiana” e le fasi preliminari della causa Nel 1888 vennero esaminate le ultime due opere, non ancora edite all’epoca della precedente inchiesta: furono condannate dal Sant’Uffizio con il decreto «Post obitum», insieme a 40 Proposizioni tratte dai suoi scritti precedenti, in quanto non ritenute consone alla verità cattolica. Oltre un secolo dopo, il 5 giugno 1990, il Padre Generale dell’Istituto della Carità inviò alla Congregazione per la Dottrina della Fede la documentazione relativa ai «Nuovi Elementi di valutazione atti a precisare l’esatta posizione di A. Rosmini in rapporto alle 40 Proposizioni condannate nel Decreto “Post obitum”». Nell’agosto successivo fu istituita una Commissione di studio, col compito di riesaminare la cosiddetta “Questione Rosminiana”, relativa alla dimostrazione dell’ortodossia del suo pensiero. Quanto alla fama di santità, non esistevano dubbi a riguardo, sia fuori sia dentro la Famiglia Rosminiana. L’esito positivo della Commissione permise di stilare la «Declaratio» del 19 febbraio 1994, che autorizzava l’inizio delle fasi preliminari per l’avvio della causa di beatificazione di don Antonio Rosmini. L’allora vescovo di Novara (nel cui territorio si trova Stresa), monsignor Renato Corti, procedette quindi alla nomina dei membri del Tribunale ecclesiastico. L’inizio della causa di beatificazione e il superamento delle 40 Proposizioni Il 1° luglio 1997 si svolse quindi la prima sessione del Tribunale che avrebbe dovuto indagare su vita, virtù e fama di santità del Servo di Dio Antonio Rosmini. Il processo diocesano si concluse il 20 febbraio 1998; gli atti dell’inchiesta furono convalidati il 26 novembre 1998. Tra i lavori necessari per comporre la “Positio super virtutibus” fu espressamente richiesto al Postulatore d’inserire, nella biografia documentata, le Proposizioni condannate dall’allora Sant’Uffizio, con la dimostrazione che le teorie in esse contenute non fossero genuinamente rosminiane. Il capitolo in questione avrebbe dovuto essere consegnato anche alla Congregazione per la Dottrina della Fede. Lo studio condotto dal Postulatore, padre Claudio Papa, è stato da lui consegnato il 2 dicembre 1999, approvato dalla Congregazione delle Cause dei Santi e consegnate a quella per la Dottrina della Fede. Il 1° luglio 2001, nel 146° anniversario della morte del Servo di Dio, fu pubblicata la «Nota della Congregazione per la Dottrina della fede sul valore dei decreti dottrinali concernenti il pensiero e le opere del Rev.do Sacerdote Antonio Rosmini Serbati», la quale afferma: «Il senso delle Proposizioni, così inteso e condannato dal medesimo Decreto, non appartiene in realtà all’autentica posizione di Rosmini, ma a possibili conclusioni della lettura delle sue opere». Proseguimento della causa e decreto sulle virtù eroiche Il 3 luglio 2001 la Congregazione delle Cause dei Santi rilasciò il Nulla osta per il proseguimento della causa. La “Positio” venne quindi consegnata l’anno successivo. Il 28 settembre 2004 la seduta dei Consultori Storici riportò voti favorevoli all’unanimità. Anche il Congresso dei Consultori teologi, l’8 febbraio 2005, ebbe esito positivo. La Sessione Ordinaria dei Cardinali e Vescovi membri della Congregazione delle Cause dei Santi, per ultima, riconobbe che il Servo di Dio Antonio Rosmini aveva esercitato in grado eroico le virtù teologali, cardinali ed annesse. Infine, il 26 luglio 2006, papa Benedetto XVI ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui il fondatore dell’Istituto della Carità e delle Suore della Provvidenza veniva dichiarato Venerabile. Il miracolo per la beatificazione Come potenziale miracolo per ottenere la beatificazione è stato preso in esame il caso di suor Lodovica (al secolo Maria) Noè, Suora della Provvidenza. Malata di tubercolosi ossea a livello del bacino e aggravatasi per una tubercolosi pleuro-polmonare secondaria, non ebbe sollievo alcuno dalle cure che le venivano prestate. Il 1° gennaio 1927, suor Lodovica iniziò una novena al suo fondatore, applicando sulla parte malata una reliquia, ossia alcuni suoi capelli. Cinque giorni dopo, verso le 11, fu visitata dalla Madre generale, che le lasciò due immagini del Venerabile Rosmini, dono del Padre generale dell’Istituto maschile. La suora ne prese una e l’appoggiò dove sentiva dolore, pregando con intensità per ottenere la grazia che sperava. La sua compagna di stanza appariva preoccupata per la sua condizione, così suor Lodovica, quasi scherzando, le disse che si sentiva pronta a saltare dal letto. Sentendosi interiormente spinta in tal senso, lo fece: con sua stessa meraviglia, cominciò a girare tranquillamente per la stanza. A mezzogiorno del 6 gennaio 1927, quindi, appariva completamente guarita, come dimostrarono i successivi esami clinici. Visse ancora circa 31 anni, spegnendosi a Pralungo il 4 dicembre 1957, all’età di 78 anni, per cause estranee alla precedente malattia, che del resto non si era più manifestata. L’inchiesta sul miracolo e la beatificazione L’inchiesta diocesana sul miracolo fu avviata e conclusa nel corso del 2004 e convalidata il 28 gennaio 2005. Il 12 ottobre 2006 la Consulta medica della Congregazione delle Cause dai Santi si espresse affermativamente circa l’inspiegabilità scientifica dell’asserita guarigione. La Consulta dei teologi, il 19 dicembre 2006, si è pronunciata favorevolmente circa il nesso tra la preghiera di suor Lodovica e l’intercessione del suo fondatore. Anche i Cardinali e i Vescovi della stessa Congregazione, il 6 marzo 2007, diedero il loro parere positivo. Infine, il 1° giugno 2007, papa Benedetto XVI autorizzava la promulgazione del decreto con cui la guarigione di suor Lodovica Noè era da ritenere inspiegabile, completa, duratura e ottenuta per intercessione del Venerabile Antonio Rosmini. La celebrazione della beatificazione è avvenuta nel Palazzetto dello Sport di Novara domenica 18 novembre 2007. A presiedere il rito, in qualità d’inviato del Santo Padre, il cardinal José Saraiva Martins, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. La memoria liturgica del Beato Antonio Rosmini, per l’Istituto della Carità, le Suore della Provvidenza e le diocesi di Novara, Biella e Trento, cade il 1° luglio, il giorno esatto della sua nascita al Cielo. La sua famiglia religiosa ricorda anche altre ricorrenze importanti: il 20 febbraio, la “Festa della Cella”, nell’anniversario dell’arrivo sul Monte Calvario; il 5 ottobre, l’ingresso come parroco a Rovereto; il 18 novembre, anniversario della beatificazione. La Famiglia Rosminiana oggi Oggi l’Istituto della Carità è diffuso in quasi tutti i continenti: in America (Stati Uniti e Venezuela), in Europa (Italia, Regno Unito, Irlanda), Africa (Tanzania), Asia (India) e Oceania (Nuova Zelanda). La Casa madre è a Stresa, mentre quella generalizia è a Roma. Non si prefigge alcun fine particolare, ma vive la carità in senso totale: a livello intellettuale, tramite collegi e scuole; a livello pastorale, mediante il servizio nelle parrocchie. È composto da sacerdoti e fratelli laici. Quanto alle Suore della Provvidenza, hanno la Casa madre a Borgomanero e contano presenze negli stessi Paesi dove si trovano i religiosi del ramo maschile, cui si aggiunge la missione in Colombia. Si dedicano alla formazione dei bambini, degli adolescenti e dei giovani nelle scuole, ma anche all’assistenza agli anziani e alla visita ai carcerati. Il Beato Antonio Rosmini aveva pensato anche a un’associazione di laici, detti Ascritti, che ancora oggi riunisce fedeli cattolici, sia chierici sia laici. Il loro impegno è vivere nel mondo impegnandosi a raggiungere la perfezione evangelica, in comunione con l’Istituto della Carità. Autori: Antonio Borrelli ed Emilia Flochini estratto da: http://www.santiebeati.it da Centro Cultura Popolare |