E’ giusto perdonare in politica? E’ una domanda alla quale “montenovonostro” risponde sì, decisamente. La politica è fatta dagli uomini e gli uomini, si sa, talvolta sbagliano. Il problema però non va posto in maniera così semplicistica. Ci sono modi ben diversi di sbagliare e uno di questi, forse il più diffuso, è sbagliare in buonafede. Un politico, un amministratore pensa di fare bene, e invece una decisione presa è sbagliata ugualmente e porta conseguenze. In questo caso è giusto perdonare? Sì, ancora sì,
se chi ha sbagliato è davvero in buonafede bisogna perdonare. Anche se, in buonafede, l’ha combinata grossa? Sì, va perdonato. Sempre? Anche una seconda volta? E una terza? Bèh, a queste ulteriori domande “montenovonostro” si ferma un attimo a riflettere. Chi sbaglia in buonafede va capito e perdonato: "per la prima si perdona". Ma se uno sbaglia ancora? Allora “si accarezza”, riprendendolo opportunamente, ma senza clamori. E se sbaglia una terza volta? Allora verrebbe da dire “si bastoni”, secondo la ben nota filastrocca popolare. Ma qui divergono le interpretazioni: da una parte è ovvio che il politico o l’amministratore che sbaglia, anche se è in buonafede, non può essere lasciato all’infinito in condizione di nuocere a sé e agli altri. Ne va dell’interesse pubblico, che è il bene superiore da salvaguardare. Soprattutto se chi sbaglia non si corregge o, addirittura, non vuole nemmeno ammettere l’errore. E’ chiaro che, in queste condizioni, chi ha senso di responsabilità ha il dovere di intervenire: colpevoli e incapaci non possono e non devono pregiudicare il bene pubblico e vanno rimossi. E qui siamo a un bivio: avevamo iniziato col perdono e stiamo finendo con una condanna. Dove sta il discrimine? Perché si cambia strada? Che cosa ha fatto deviare dalla iniziale benevolenza? La risposta è nell’ordine delle cose e il discrimine sta proprio nel concetto di bene pubblico. E’ questo lo spartiacque, il metro di giudizio, il punto di riferimento che non deve mai venire meno. Quando gli errori individuali intaccano gravemente il bene pubblico e non esiste alcun altro mezzo utile per rimuovere la causa della sofferenza collettiva, allora è lecito ricorrere alle estreme conseguenze. Ma ad una condizione: chi si incarica di riportare in ordine la situazione non deve avere intenti di vendetta, ma solo quello di impedire un male maggiore. E’ questa la morale ultima cui è necessario attenersi. Ecco perché bisogna perdonare, all’inizio. “Ma quante volte dovrò perdonare? Forse fino a sette volte?” chiedeva l’allibito ascoltatore del Salvatore che invitava a perdonare porgendo l’altra guancia. “Fino a settanta volte sette”, si sentì rispondere. Cioè una enormità di volte. Abbiamo detto “enormità”, non “infinità”. Infinità è “sempre”, che non è “settanta volte sette”. Settanta volte sette è un numero enorme, 490, ma non è infinito, ha una fine, seppure lontanissima nel tempo. E dopo aver perdonato “settanta volte sette” arriva il momento di reagire. I politici e gli amministratori che si sono visti perdonare le colpe una enormità di volte forse hanno pensato di aver diritto a continuare all’infinito. Diciamo subito di no. Non è lecito a nessuno continuare all’infinito nell’errore. Anche questa è la morale: quando è troppo, è troppo e arriva il momento di dover dire, seppure a malincuore, “adesso basta, c’è un limite a tutto”. Questa è la morale cui nessuno, nemmeno “montenovonostro”, può sottrarsi. Stando così le cose, non si può nemmeno tacere di fronte a pubbliche dichiarazioni di un politico di lungo corso, come Massimo D’Alema, che vanta “io non sono abituato a porgere l'altra guancia", parlando della sua contrapposizione a Renzi nelle primarie del PD. E’ vero, tutta la storia politica di D’Alema lo dimostra: lui non porge l'altra guancia. E' stato anche il primo Presidente del Consiglio dei Ministri italiano che ha fatto la guerra dopo cinquant’anni di pace, mandando gli aerei a bombardare la Jugoslavia. Primo caso nella storia del dopoguerra italiano. Non sappiamo quali altre armi userà nella “guerra” contro il “nemico” Renzi (ma non sono dello stesso partito, il PD?) quando dice che “Questa battaglia congressuale resta aperta e noi combatteremo fino all'ultimo voto”. Forse pensa ancora alla battaglia jugoslava, ma D’Alema sbaglia e “montenovonostro” gli dice: “Porgi l’altra guancia, fino a settanta volte sette”. Fino a 490. Dopo bombarda. A 491, non prima. E solo se c'è un bene pubblico da difendere, non per una guerra privata di poltrone.
da montenovonostro |