Per chi, come “montenovonostro”, mette fra i suoi principi cardine della propria azione civile la “giustizia”, l’ordinato svolgimento della funzione giudiziaria è certamente fondamentale. La “magistratura”, in diritto, identifica un complesso di organi istituzionali pubblici e statali con funzioni giurisdizionali in campo civile, penale, costituzionale e amministrativo, che si
personificano nella figura del magistrato. Questo esercita il potere giudiziario, che è uno dei tre poteri dello stato di diritto ed ha funzione giudicante. Alla magistratura è costituzionalmente garantita l’indipendenza nei rapporti con gli altri due poteri dello stato (potere legislativo e potere esecutivo), indipendenza necessaria a preservare l'azione giudiziaria da condizionamenti o menomazioni della libertà di espletamento della funzione. Ed è per questo motivo che i magistrati sono funzionari burocratici appartenenti ad una carriera separata rispetto agli altri funzionari pubblici. Essendo comunque un cittadino, anche al magistrato è consentito di partecipare alla vita pubblica, anche rivestendo ruoli negli altri due poteri dello stato, quello legislativo (come parlamentare) o esecutivo (come ministro). E infatti sono molti i parlamentari e ministri che provengono dalle file della magistratura. Ci domandiamo però come un ruolo “militante” in politica possa conciliarsi appieno con il dovere di terzietà che un magistrato dovrebbe sempre assumere. Proprio ieri il Presidente della Repubblica, nel suo ultimo incontro al Consiglio superiore della magistratura, ha opportunamente richiamato contro i troppi "protagonismi" di pubblici ministeri che cedono alla mondana voglia di finire sotto i riflettori. Troppo importante è, per il Presidente, l'opera che tocca ai pubblici ministeri per essere offuscata dai riflettori: "Contro il diffondersi della corruzione e della criminalità organizzata - e i suoi legami con la politica - emersi in questi giorni, è fondamentale l'azione repressiva affidata ai Pm e alle forze di polizia", confermando che la riforma della Giustizia va fatta presto e bene. Il capo dello Stato ha ricordato le "contrapposizioni polemiche che per anni hanno caratterizzato i rapporti tra politica e magistratura determinando un paralizzante conflitto tra maggioranza e opposizione in Parlamento sui temi della giustizia e sulla sua riforma", tensioni che "non hanno giovato né alla qualità della politica né all'immagine della magistratura". Per il Presidente della Repubblica vale ancora il ripetuto richiamo a far "prevalere il senso della misura e della comune responsabilità istituzionale, perché la credibilità delle istituzioni si fonda sulla divisione dei poteri e sul pieno e reciproco rispetto". "Per la tutela del prestigio e della dignità dei magistrati, sono fondamentali comportamenti appropriati, ossia ispirati a discrezione, misura, equilibrio, senza cedimenti a esposizioni mediatiche o a tentazioni di missioni improprie", ha detto ancora. Ma oltre al monito, più che condivisibile, del Presidente della Repubblica, il problema viene sollevato anche all’interno della stessa magistratura. Le Giunte distrettuali dell’Associazione nazionale magistrati di Palermo, Catania, Messina e Caltanissetta, in una nota, fanno sapere che “intendono avviare un confronto ed una seria riflessione sul tema della partecipazione dei magistrati alla politica attiva”. Per l’Anm siciliana “il diritto individuale del magistrato di accedere alle cariche politiche non può ritenersi assoluto, ma deve essere coordinato con i principi costituzionali dell’autonomia e dell’indipendenza, che meritano tutela prioritaria e che impongono di evitare anche la mera possibilità di offuscamento dell’imparzialità del magistrato“. Le Giunte sollecitano “un intervento legislativo che disciplini le modalità di accesso dei magistrati alle funzioni di politica attiva ed introduca forti ed ulteriori limitazioni, quantomeno di tipo territoriale e funzionale, dell’elettorato passivo, dell’accesso diretto alle cariche amministrative e di governo, nonché del ritorno del magistrato all’esercizio delle funzioni giudiziarie, non escluso, in taluni casi, il divieto“. Nel felpato linguaggio usato, ritroviamo tutti gli argomenti che da qualche tempo appaiono ormai ineludibili: non depone a favore dell’autonomia e indipendenza dei magistrati il loro reiterato impegno in ruoli politici, perchè non si può essere contemporaneamente “giudici” e “parte”. I due ruoli devono rimanere assolutamente distinti: chi fa politica faccia politica, chi fa il giudice faccia il giudice, ma non si immischi in politica. Ne va della credibilità della imparzialità della “giustizia”. Ben venga quindi una norma che vieta a chi fa il magistrato di cambiare casacca per fare l’uomo di parte: è troppo importante preservare una funzione terza da ogni tentazione di fazione. No ai magistrati in politica. I giudici non solo devono essere al di sopra delle parti, ma devono anche sembrarlo. Sempre.
da montenovonostro |