Roma: ‘O vèdi, ècco Marìno, la sàgra c’è dell’ùva ('ppassìda) |
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Giovedì 08 Ottobre 2015 16:54 |
E’ tempo di vendemmia in questo burrascoso autunno, mentre gli stornellatori romani, un tempo, intonavano la celebre canzone popolare della gita ai castelli romani cantata da Gabriella Ferri: “Lo vedi, ecco Marino / la sagra c'è dell'uva / fontane che danno vino / quant'abbondanza c'è”. Qualcosa di simile potrebbe cantare ora non Gabriella, ma Gabrielli (il commissario-badante, secondo l’ammissione dello stesso Marino (non il castello, ma l’Ignaro sindaco romano) che ora si è dimesso stizzosamente). Sic transit gloria mundi, dicevano un tempo i romani. Adesso devono prendere atto che quel che aveva sbandierato Marino (l’Ignaro, non il castello) che sarebbe
rimasto fino al 2023, dando presuntuosamente per scontato che sarebbe stato addirittura rieletto le prossime elezioni comunali, non è affatto vero. Non aveva fatto bene i conti, Marino, convinto com’era che durasse a lungo l’abbondanza della canzone e del bancomat comunale. E invece no. Inciampando malamente su una storia di spese di rappresentanza pagate con il bancomat del Comune e di dubitabili scontrini, s’è scontrato con il suo stesso partito, il PD, paurosamente in crisi dopo gli scandali di Mafia Capitale e il girovagare sconclusionato per il mondo di un sindaco latitante, affossato anzitempo nella tomba politica anche a causa di un funerale ingombrante di clan malavitosi che spadroneggiavano a Roma. A provocare le dimissioni del sindaco Marino il fatto che poco prima il vicesindaco Marco Causi e gli assessori Stefano Esposito e Marco Rossi Doria avevano annunciato le loro dimissioni ("Non sussistono più le condizioni per andare avanti"). Più tardi erano arrivate anche le dimissioni di Luigina Di Liegro, assessore al Turismo, entrata in giunta dopo l'ultimo rimpasto. Marino è stato travolto dalle polemiche per gli scontrini pagati con l'uso delle carte di credito del Comune. La Procura di Roma, proprio ieri, aveva aperto un fascicolo per verificare le spese sostenute dal primo cittadino, dopo che il rendiconto era stato pubblicato sul sito istituzionale del Comune in un'operazione che lo stesso Marino aveva definito di "trasparenza". A niente è servita la scappatoia dell’annuncio di Marino di pagare di tasca sua tutte le spese da lui sostenute a carico del Comune di Roma, rinunciando anche alla carta di credito intestata al Comune, come aveva comunicato durante una riunione di giunta, promettendo di regalare alla città i 20.000 euro che aveva speso per coprire le spese di rappresentanza. Ma questa “donazione” pelosa non impedirà alla giustizia di fare comunque il suo corso. La restituzione di 20 mila euro e della carta di credito del Comune da parte del sindaco "non incide sull'inchiesta aperta dalla procura di Roma", è quanto trapela da ambienti giudiziari. In sostanza si ribadisce che il peculato, reato ipotizzato nell'esposto finito nel fascicolo ancora contro ignoti, è di natura 'istantanea' e quindi la restituzione del denaro non lo estinguerebbe nel caso in cui venisse riscontrato. Perché non basta pagare di tasca propria, dopo, la supposta abbondanza. ‘O vèdi, ècco Marìno, la sàgra c’è dell’ùva (‘ppassìda).
da montenovonostro |