E’ successa una cosa gravissima. Ci è stato impedito di tenere il richiesto comizio, come avevamo annunciato. A impedircelo le disposizioni ultimative imposteci dal Comune di Ostra Vetere, secondo cui per esercitare il diritto costituzionale alla libertà di parola, che è sempre libera e gratuita, avremmo dovuto pagare l’iperbolica somma di ben 604,00 euro, quando per il comizio tenuto sei mesi fa, la domenica 10 aprile scorso, ci aveva ingiustamente fatto pagare la ben misera “tassa Jizya” di appena 2,00 euro. Avevamo protestato, quella volta, pur avendola puntualmente pagata, non certo per l’importo particolarmente esiguo, quanto per il principio: in libertà e democrazia non si pagano tasse per esprimere liberamente in pubblico le proprie opinioni. Solo i regimi dittatoriali e tirannici o dei talebani islamici e dei tagliagola dell’ISIS praticano simili imposizioni. In oriente i maomettani impongono la “tassa Jizya” ai cristiani e agli ebrei che vogliono continuare a non volersi convertire all’islamismo. Noi non vogliamo convertirci alle idee (ammesso che tali siano) di chi “comanda” ora da noi e così ci tartassano. Pur protestando, l’altra volta avevamo pagato. Mal ce ne incolse perché, a totale nostra insaputa, l’amministrazione aveva “caricato” la trappola. Mogia mogia, zitta zitta, in tutta fretta, nel chiuso delle “segrete camere”, la Giunta Municipale aveva approvato un regolamento nuovo di zecca per tassare le manifestazione pubbliche che utilizzano palchi. Ma si è ben guardata da dargli attuazione per mesi e mesi. Decine di manifestazioni pubbliche sono state svolte a Ostra Vetere sui palchi allegramente disposti e fatti montare dal Comune, ma nessuno mai ha pagato il becco di un quattrino a nessun’altro: tutto gratis per tutti. Evviva, gran festa. Gratis, fra balli, suoni e canti. Fino alla vicenda corrente. Avevamo chiesto di montare non un “palco per una manifestazione ricreativa”, bensì la “tribuna dei comizi”, il simbolo della libertà e della democrazia, quella sulla quale da settant’anni salivano gli oratori per fare i comizi, e da mezzo secolo quel “cassone” atticciato costruito da un nostro fabbro ferraio e coperto da pannelli di legno verniciato di grigio, ma con il gran vantaggio di avere una comoda rampa di accesso posteriore, un pianale sufficiente ampio per contenere il presentatore, l’oratore e anche qualche altro assistente, un ampio leggìo, il microfono sull’asta, l’impianto di amplificazione sonora e le casse acustiche affinchè tutti potessero sentire bene che cosa aveva da dire l’oratore, il partito, l’istituzione, tutti liberi di parlare esentasse, come è giusto e doveroso che sia in libertà e democrazia. La “tribuna dei comizi” era l’erede di ogni tradizione di libertà popolare, fin dall’antica Roma: il simbolo stesso della autodeterminazione e della identità civile, la sintesi dell’autonomia municipale e delle libertà istituzionali. Non c’è più. Tutto finito. Via la “tribuna”, via il simbolo, via la possibilità di tenere comizi come si è sempre fatto in libertà. Vi erano saliti tutti i sindaci e i politici locali fin dal dopoguerra (prima gli oratori parlavano dai balconi durante il precedente regime e poi dalle tribune provvisorie, fino a quella definitiva). Vi erano saliti, fra i tanti altri, il sindaco Sampaolesi, nel dopoguerra, e poi il sindaco Perini, poi il sindaco Tanfani, quindi il sindaco Paolini e infine il sindaco Fiorani e tanti altri nostri compaesani segretari ed esponenti di tutti i partiti politici. Poi è calata la notte della democrazia e il regime “sfascista” ha ritenuto di dover “sfasciare” tutti i simboli di libertà e di democrazia: nel 1990 ha deciso di “sfasciare” l’impianto di registrazione sonora delle sedute del consiglio comunale, perché non voleva che rimanesse traccia provata di quanto veniva detto (talvolta incautamente e a volte anche falsamente) nella più alta istituzione cittadina nel chiuso della Sala Consiliare. Poi nel 1994 ha deciso di far scomparire anche un altro simbolo della libertà comunale: la “tribuna dei comizi” che si usava in pubblico, nella piazza della Libertà. Piazza della Libertà: che nome bello e significativo ha la nostra piazza! E quanto era piena di gente che parlava la domenica mattina per sapere le cose e farle sapere agli altri. Non più. Da quell’anno è scomparsa la “tribuna dei comizi”, non si sa più dove sia. Nessuno l’ha più potuta usare, perché non c’era più, “sfasciata” anche quella. Noi, che siamo ancora ancorati a sani principi di una volta, come quando fra forze politiche diverse magari ci si scontrava sui principi, ma mai fra le persone come disgraziatamente capita adesso, chè anzi, dopo il Consiglio o dopo il comizio, andavano tutti insieme al bar a bere alla salute di tutti, non sapevamo che la “tribuna dei comizi” era stata “sfasciata”. Per questo, senza sapere, abbiamo chiesto che fosse rimontata per poter tenere il comizio di aprile contro lo spauracchio della “fusione per incorporazione” del Comune: una tragedia istituzionale e antidemocratica che potrebbe ancora colpire il nostro paese di Montenovo, privandolo della sua autonomia e del Comune, riducendolo a misera frazione periferica di qualche altro Comune qui d’attorno, come stava per capitare a Morro d’Alba. Là è stata una tragedia evitata per un soffio. Per questo avevamo tenuto quel comizio qua da noi e ci eravamo sorpresi non poco quando, al posto della “tribuna dei comizi”, simbolo della democrazia e della libertà, era stato montato un misero palco: una porzione di struttura buona per le sagre paesane mangerecce, non il tempio della democrazia. Ma non ce la siamo presa più di tanto e abbiamo fatto buon viso a cattivo gioco: mica si può criticare sempre, qualche volta bisogna pure abbozzare. E tuttavia
abbiamo protestato forte per la tassa che ci hanno imposto dopo. Questione di principio, non di importo. Ma era finita lì. E così, quando abbiamo chiesto di tenere un nuovo comizio contro la “deforma” costituzionale, che, se passasse, ci priverebbe addirittura della libertà di eleggere direttamente i senatori e gli amministratori della Provincia che gli “sfascisti” vorrebbero "sfasciare", e per invitare i compaesani a votare NO il prossimo 4 dicembre, avevamo ancora chiesto di istallare la “tribuna dei comizi” chiedendo anche di sapere quanto dovevamo pagare per l’occupazione del suolo pubblico, pur sapendo che si sarebbe trattato di una tassa ingiusta. Nell’autorizzarci il comizio, il Comune non ci ha detto niente di tasse e di oneri e di questo ci siamo sorpresi non poco, come abbiamo dichiarato in alcuni comunicati pubblici. E abbiamo regolarmente tenuto il comizio in piazza della Libertà la scorsa domenica 13 novembre. Anzi, abbiamo chiesto di poterne tenere anche altri due nelle due successive domeniche 20 e 27 novembre, in tempo utile prima della data del referendum del 4 dicembre. Ma dopo averceli nuovamente autorizzati e ben dopo aver tenuto il primo ci è arrivata la batosta (“dopo i fuochi” abbiamo scritto): tirando fuori la sconosciuta delibera di Giunta che regolamentava ormai da mesi l’uso del “palco”, non della “tribuna dei comizi” che è sempre stata gratuita, e che non era mai stata addebitata a nessuno prima di oggi, ci è arrivata la sberla: 604,00 euro da pagare sull’unghia, là per là, immediatamente, entro il 18 novembre, ci intimava il Comune con un paio di email spediteci nella tarda serata di giovedì 17. Proprio sfortunato quel numero. 604,00 euro per parlare di libertà in piazza della Libertà. Nessun regime aveva mai osato tanto. Certo che strepitiamo. Così ci viene impedito di parlare. Siamo stati costretti a tacere. Non abbiamo potuto dire niente domenica mattina 20 novembre, nonostante fossero appositamente venuti da Senigallia due oratori, anzi una oratrice e un oratore, membri del Comitato per il NO, a sostenere il nostro referente. Niente. Nessuno dei tre ha potuto prendere la parola. A questo modo pratica la “democrazia” chi si autodefinisce “democratico” senza esserlo. Ma si sa, tutti i regimi si ammantano sempre di belle parole e di mille spiegazioni tortuose, cui non corrisponde mai la realtà dei fatti. E’ storia vecchia come il mondo. I regimi sanno sempre come usare i cavilli più pretestuosi per imporre silenzio ai dissidenti. Vogliono soldi da noi e tanti, o sennò dobbiamo stare zitti. E ci è andata bene che non ci mandano nei campi di concentramento. Però ci “deportano”, se non noi, almeno le nostre idee. Infatti non abbiamo potuto parlare nella piazza della Libertà del nostro paese domenica scorsa, ma tanto parleremo ugualmente, magari fuori paese. Ci costringono a “deportare” le nostre idee da qualche altra parte, dove si potrà parlare liberamente e gratuitamente. Non è successo forse così nella Russia bolscevica di cent’anni fa cui si ispirano certi “progressisti” "sfascisti"? Ai dissidenti la scelta tirannica: o zitti e mosca, anzi “Mosca”, o la “deportazione” nella settentrionale Siberia. Non sappiamo ancora dove saremo costretti a “deportare” le nostre idee, forse oltre il settentrionale Burello, ridotto a modesta Siberia nostrana, tanto sempre a settentrione sta, nel rigido nord. Così siamo ridotti a Montenovo. Torna a imperversare lo “sfascismo” che pensavamo sconfitto oltre un decennio fa. Sbagliavamo. Ecco a voi (e a noi, purtroppo) una sua stantìa e insopportabile replica. Zitti e Mosca. E stavolta è solo “mosca”, fastidiosa e insopportabile.
da montenovonostro |