Città del Vaticano: Fino a settanta volte sette e non di più |
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Lunedì 26 Dicembre 2016 15:42 |
Credenti, pur con tutti i nostri difetti cerchiamo di essere anche cattolici apostolici romani, non solo cristiani e basta. Dura è la strada della perfezione, eppure alla Misericordia del Padreterno affidiamo le nostre debolezze. Lui può darci forza, se lo meritiamo. E potremo meritarlo se, guardandoci intorno, sappiamo cogliere i segni della giustizia divina e anche di quella umana. Alla Giustizia (in maiuscolo) dobbiamo infatti guardare, per noi e per tutti. Ma
non è un bel vedere, intorno, in questo nostro misero mondo, nel quale si agitano ogni sorta di mali e miserie. Ma anche dal male dobbiamo trarre ammaestramento e cercare di riconoscere il bene che può nascondersi dovunque. E certo è tutt’altro che un bene la miseranda vicenda cosiddetta “Vatileaks” (ma perché si parla sempre in inglese quando non c’è bisogno?) della dolosa fuga di notizie riservate dallo stesso Vaticano ad opera di due alti dipendenti che, per smania di perverso protagonismo, hanno messo in pericolo l’integrità del più minuscolo Stato del mondo, ma certo non il meno importante. Il monsignore spagnolo Lucio Angel Vallejo Balda, ex segretario della Prefettura degli Affari economici e della Commissione Cosea sulle finanze della Santa Sede nonchè principale protagonista dello scandalo “Vatileaks”, e Francesca Immacolata Chaouqui componente della stessa Cosea, di cui è stata rilevata la “complicità certa”, erano stati condannati dalla Giustizia Vaticana. Il primo ha ricevuto una condanna detentiva di 18 mesi, è stato incarcerato e ha scontato solo parte della pena inflitta, fin quando Papa Francesco nei giorni scorsi con un provvedimento di clemenza gli ha concesso la libertà condizionale e lo ha fatto scarcerare rimandandolo in Spagna, la seconda è stata condannata a 10 mesi e ha avuto la pena sospesa. Ora vengono pubblicate le motivazioni della sentenza di condanna dei due, dalle quali si rileva che per i giudici vaticani emerge la “responsabilità criminale” della divulgazione delle documentazione “certamente rimarchevole e ragguardevole per la convenienza e la funzionalità della Santa Sede” e di “natura riservata”. In sostanza, un crimine contro lo Stato. Ora la vicenda, seppure ci addolora come credenti, ci induce anche a qualche considerazione tutt’altro che ovvia. Nell’immaginario collettivo, mentre da una parte una cultura laica, quando non anticlericale o addirittura atea, giudica i fatti della Chiesa sempre e comunque in termini critici, se non negativi, dall’altra la cultura cattolica è incline a propendere per l’acritico giustificazionismo, ritenendo il mondo della Chiesa imperativamente orientato alla pace, all’amore e al perdono sempre e comunque. Così, però, si banalizza e relativizza ogni vicenda, cadendo in un errore di prospettiva che ha valenza anche civile, oltre che religiosa. La vicenda invece insegna che il mondo non è solo rosa e che il male c’è, purtroppo, dovunque, anche in qualche persona di Chiesa. E seppure è dovere del cristiano perdonare le offese, c’è anche il dovere di preservare la fede e le sue istituzioni. Ed è sulla base di tali principi che il Tribunale della Santa Sede ha dovuto emettere una sentenza di condanna. Che poi il Papa ha comunque mitigato, di fatto perdonando. Ma rimane l’esemplarità della condanna e della pena comunque scontata, seppure in misura ridotta. Perché non tutto e sempre può essere tollerato. Perché, come insegna la Chiesa e la sentenza del Tribunale Vaticano, ai cristiani è fatto l’obbligo morale di perdonare tanto, anzi tantissimo, ma (aggiungiamo noi assumendocene per intero la responsabilità morale) non sempre, bensì solo fino a settanta volte sette nè di più.
da montenovonostro |