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Home Comunità montenovonostro Roma: Eleggendoli democraticamente e non facendoli nominare dal capo
Roma: Eleggendoli democraticamente e non facendoli nominare dal capo PDF Stampa E-mail
Giovedì 08 Giugno 2017 16:43

Roma Eleggendoli democraticamente e non facendoli nominare dal capoMa che è successo? Di tutto. Avevano tanto sbeffeggiato la cosiddetta “Prima Repubblica” perché il sistema proporzionale produceva l’instabilità dei governi tanto che se ne cambiava almeno uno all’anno. I “tranelli parlamentari” dei cosiddetti “franchi tiratori” spesso buttavano per aria le maggioranze e i governi dovevano dimettersi, spesso a causa di “capricci” dei partiti più piccoli, o di singoli parlamentari, che sgomitavano per ottenere sempre di più. E questo, si diceva, era un gran male, perché rallentava il lavoro legislativo e governativo. Meglio “cambiare”, quindi. E all’insegna del “cambiamento” a tutti i costi si è arrivati a demolire i vecchi partiti e a promuoverne di nuovi. Tutto “nuovo”? Tutto “diverso”? Tutto più “buono”? Ci hanno riempito la testa con la “buona politica”, con le “buone pratiche”, con la “buona scuola” e con tanto “buonismo” da non poterne più. Perché non è vero niente di quel che di meglio avevano promesso. Nella “Prima Repubblica” c’erano i partiti, con una ben distinta ideologia, con gli iscritti, con le sezioni, con il segretario, con i loro direttivi, e facevano riunioni, tenevano comizi, parlavano con gli elettori e si presentavano al voto ogni cinque anni, chiedendo anche le preferenze per i singoli candidati, che venivano eletti solo se davvero avevano il consenso dal popolo elettore. A tutti i livelli: Stato, Regioni, Province, Comuni. Addirittura, in un empito irrefrenabile di “partecipazione”, si era arrivati a moltiplicare gli enti democratici inventando Comunità Montane, Associazioni di Comuni, addirittura Consigli di Quartiere e giù “partecipando”. Poi qualcuno ha incominciato a dire che non andava bene, che bisognava razionalizzare, economizzare, perchè i partiti dovevano fare un passo indietro per fare largo alla “società civile” e ai “manager” che avrebbero risolto tutto. E così adesso, nella cosiddetta “Seconda Repubblica” al posto dei vecchi partiti ideologizzati ci sono i partiti nuovi managerializzati, anzi “capizzati”, perché non si capisce più che razza di ideologie promuovano, hanno il nome del “capo” scritto dentro il simbolo come se fosse cosa propria (e infatti lo è), tipo Berlusconi, Bossi, Fini, Casini, Di Pietro, Vendola e compagnia cantando con gli ultimi Salvini, Meloni e tanto altro, salvo un solo partito che era rimasto all’antico, pur cambiando più volte nome e simbolo, perché così bisognava fare. Morte le correnti dentro i partiti, morte le sezioni, “morti” gli iscritti che se ne sono fuggiti da simili pastrocchi inefficienti e incapaci. Salvo un solo partito, che continuava a vietare le correnti ma a mantenere le sezioni, ad avere iscritti e a tenere congressi. E ha raggiunto il 40 e passa percento dei voti, mica brustoline. E aveva un “capo” che era capo di tutto, capo di governo, capo di partito e capo di chissà cos’altro, che si era messo in testa di volere ancora di più: la maggioranza assoluta, il potere assoluto, il diritto di fare e disfare a suo piacimento senza limiti e contrappesi. Tutto bene quindi? No. Quel popolo che non contava più niente, cui progressivamente era stato sottratto il potere della sovranità con il diritto al voto libero e generalizzato, cui si stava demolendo la Libertà, l’Autonomia e la Giustizia in tulle le loro declinazioni ideologiche, che rischiava di non poter più votare per eleggere i Senatori, che rischiava di non poter più eleggere i Presidenti e gli amministratori delle Province, che rischiava di perdere anche molti Comuni fusi e incorporati in altri forestieri, che rischiava di non poter più eleggere direttamente i propri rappresentanti nelle istituzioni e di vedersi nominati i “fedeli” del “capo” indiscusso e indiscutibile ha detto NO. Il 4 dicembre 2016 ha detto NO. Era troppo. Basta con le “deforme”, ha detto il popolo con il Referendum. Eppure la dura lezione non è bastata e il “comandotuttoio” ci ha riprovato. E’ riuscito a trovare sottobanco l’accordo dei “quattro capi” per produrre una nuova legge elettorale che completasse l’opera delle “deforme”. E stavolta non c’era “popolo” che avrebbe tenuto: bastava ordinare ai “fedeli del capo” di votare la fiducia. Il popolo era fuori da questa scelta, non poteva e non doveva intromettersi. Sembrava tutto a posto. Definitivamente. E qui sovviene il vecchio detto popolare secondo cui “il diavolo fa le pentole ma non i coperchi”: aveva previsto tutto, ma aveva dimenticato una cosa. Quel suo unico partito ancora tale e senza correnti interne dopo la fuoriuscita dei reprobi rottamati, con quel suo gruppo parlamentare ancora compatto e militante, ha mostrato una “crepa”. E non ti è andato a votare le un emendamento dell’un tempo odiata Biancofiore? Già il nome è tutto un programma reminiscenziale che avrebbe dovuto rimanere un auspicio nostalgicamente improponibile nell’intenzione di tutti. E invece è successo l’imprevisto: ben 66 “franchi tiratori” hanno messo la pietra tombale sulla nuova legge elettorale: morta, finita. E subito è scoppiato il finimondo: il PD accusa i M5S, gli M5S accusano il PD, il redivivo Alfano esulta per lo scampato pericolo e di nuova legge elettorale non si parlerà più, almeno per lungo tempo. La Seconda Repubblica è morta sotto il voto segreto di 66 franchi tiratori (“segreto” si fa tanto per dire, perché l’ineffabile “Presidenta” della Camera ha dovuto ammettere che sì, quelle lucette colorate alle sue spalle, essendo un voto “segreto”, non dovevano accendersi per sbugiardare i “reprobi” ribelli all’accordo dei “quattro capi”. “Sì, c’è stato un errore”, ha detto. Ennò, cara Presidenta. Non c’è stato un errore. E’ stato intenzionale. Per alimentare lo scontro sulle responsabilità e consentire la vergogna delle accuse strumentali divulgare dai media. Qui l’errore è la Seconda Repubblica che ci avete dato. E per uscire da questo partano c’è ormai una sola strada: tornare alla Prima Repubblica, alle leggi elettorali di settant’anni fa, ai partiti ideologici e alle preferenze multiple. Senza fare leggi “nuove” che tanto così non si faranno mai, basta abolire tutte le leggi elettorali di quest’ultimo ventennio sfascista. Sono andate bene per i "padri costituenti", sono andate bene cinquant'anni, quando non c'era la confusione che c'è oggi. Magari torneranno anche le correnti, magari cadranno anche i governi per le bizze dei piccoli partiti o dei “franchi tiratori”: ma almeno sarà il popolo a scegliere direttamente gli eletti e a “costringerli” a tornare a parlare nelle piazze e nelle sezioni e a rispondere al popolo, che potrà promuoverli o bocciarli sulla base del consenso meritato, eleggendoli democraticamente e non facendoli nominare dal capo.

da montenovonostro

 

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