La grave crisi politica interna del PD alimenta scontri e divisioni. Non è un bel momento, questo, per il partito del “comandotuttoio”, soprattutto dopo la solenne batosta raccattata in Sicilia, dove il partito, che diceva di portarsi dietro il 40 % dell’elettorato, ha raccolto molto meno della metà, appena il 18,6 %. Ma a parte l’esito del voto siciliano, sono le divisioni multiple al suo interno che spaventa la dirigenza, ma non l’impudenza del “capo di tutto”, quel Renzi mai
domo, che ancora sogna rimonte. Basterebbe notare le progressive uscite polemiche dal partito (Bassolino, Grasso, dopo quelle di Bersani, Speranza, D'Alema e altri) per rendersene conto che la strada è tutta in salita. Che ci sia qualcosa che non va è noto a tutti. Ma cosa sia, questo “qualcosa”, probabilmente sfugge a molti. Certo una cosa ci pare evidente: l’uscita del Presidente del Senato Grasso non è cosa di poco conto. E che cosa dice oggi Grasso, che si dimette dal partito ma non dall’incarico? Dice che: "Non so se sono uscito io o se non c'è più il PD". Questo dice, l’amletico Presidente del Senato. E se non lo sa lui, chi dovrebbe saperlo? Ha fatto tutto da solo. Ha sbattuto la porta in malo modo abbandonando barca e remi, e adesso ci viene a dire che non sa se è partito davvero. Risolva presto questo dubbio. Non rimanga a macerarsi l’animo intristito. E’ stato nel partito finchè tutto andava a gonfie vele, ma appena sono arrivati i primi spifferi di burrasca alza le mani e se ne va. Anzi no, non sa se se ne è andato davvero. Chissà. Forse che si, forse che no. Non abbiamo gli stessi suoi dubbi, noi. Per noi non avrebbe mai dovuto entrare in quel partito. Ma nemmeno in nessun’altro. Lui è un giudice, un giudice mica un impiegatuncolo, ma che, anziché attestarsi in una posizione di neutralità e imparzialità (“terzietà” si direbbe in linguaggio giurisprudente), si è buttato a capofitto in politica (cioè scegliendo una e una sola parte, lui che non dovrebbe averne alcuna, se davvero fosse un giudice “imparziale”) e adesso prende le distanze. Pare però che non abbandonerà la politica, anzi, si spingerà ancora più in là, lui che si definisce “ragazzo di sinistra”. Sul “ragazzo” non giuriamo, ma “di sinistra”, se lo dice, lui, come non credergli? Però una domanda sorge spontanea: quando faceva il giudice, era ugualmente una “ragazzo di sinistra”? O era anche un “giudice di sinistra”? A queste domande, forse lui potrebbe chiarire, ma noi un chiarimento lo vorremmo proprio. E come abbiamo già detto altre volte, ci attendiamo che qualcuno prenda una posizione chiara sulla vicenda del coinvolgimento dei giudici in politica. Per noi la soluzione è chiara e l’abbiamo già espressa: per garantire non solo la sostanza, ma anche l’apparenza (che non è di poco conto in un settore tanto delicato come quello della magistratura) e ad evitare ogni genere di strumentalizzazione o, peggio, di faziosità di parte, vorremmo che fosse introdotta nell’ordinamento una norma che vieta, sia a chi ha fatto il giudice di candidarsi in politica, e sia a chi ha fatto politica di accedere al ruolo in magistratura. D’altra parte una norma costituzionale vieta ai ministri di culto di candidarsi? E perché allora non è possibile estendere un analogo divieto anche ai giudici? I giudici godono di uno status tutto singolare, in coincidenza con un ruolo tutto singolare. Non lo sciupino scegliendo una parte, anziché l’equidistanza tra le parti. Questo è un problema serio e perciò inseriremo l’argomento nel nostro programma elettorale. Se i compaesani ci voteranno alla guida della comunità locale, prenderemo tutte le iniziative lecite ed opportune perché il Parlamento accolga il principio della “separazione politica dei giudici”, altro che quello della “separazione delle carriere dei giudici”.
da montenovonostro |