Ostra Vetere: Toccato quota 490 |
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Mercoledì 24 Gennaio 2018 23:39 |
Giobbe, principale personaggio dell’omonimo libro della Bibbia, è la personificazione del giusto, che soffre mentre i malvagi prosperano, e che tutto sopporta inchinandosi al volere di Dio. Ricco e potente, Giobbe fu messo alla prova da Dio che gli tolse progressivamente i beni, i figli e la salute. Di fronte a tutto ciò, il suo commento fu: “Dio ha dato, Dio ha tolto: sia benedetto il nome del Signore”. Per questo motivo la Bibbia ne ha fatto simbolo ed esempio di giustizia e di pazienza. E “avere la pazienza di Giobbe” è la frase usata nei confronti di coloro che ‘sono molto pazienti, sopportano con rassegnazione molestie, ingiustizie e tribolazioni‘. Tuttavia è bene ricordare anche che paziente non è chi “sopporta”, ma chi “porta” i pesi degli altri, nella volontà e nella fiducia di poter camminare verso la liberazione di tutti. Perdonando le offese con il perdono che è imperativo morale, da praticare con costanza. Ma con costanza, fino a quando? Quante volte si deve perdonare? Fino a settanta volte sette, dice il Vangelo, cioè tantissime volte. Fino a quando, dopo aver perdonato settanta volte sette (che fa 490), si pone un altro quesito. Se il fratello
continua a sbagliare continuamente, non sarà che lo fa perché nessuno gli ha insegnato il dovere del limite? Cioè, non sarà perché non imparerà mai a limitarsi se qualcuno non lo istruisce adeguatamente? In questo caso è davvero opportuno continuare a perdonare, oppure arriva il momento di indicargli di aver toccato il limite? Come si fa, allora, a non farlo sbagliare più? Come si fa a farlo smettere se non c’è verso per farglielo capire di aver “toccato quota 490”? Sovviene allora anche un altro precetto evangelico: quello dell’esercizio delle sette “opere di misericordia spirituale”, che impongono, fra altri, anche un altro dovere morale, quello di “insegnare agli ignoranti”, a quelli che non sanno o che non vogliono sapere, a quelli che scambiano il perdono ottenuto per un diritto a continuare a sbagliare. E poiché a nessuno è consentito di perseverare nell’errore, arriva il tempo in cui, dopo aver perdonato settanta volte sette, si arriva a “toccare quota 490”. Oltre la quale è doveroso “insegnare agli ignoranti” come si campa al mondo. Altrimenti non capiranno mai. E allora, per evitare che continuino ancora a sbagliare facendo del male al prossimo e facendone ancora tanto, fino a toccare e superare ogni limite, occorre una lezione (“insegnare agli ignoranti” è, appunto, "dare una lezione"). Non per ritorsione. Non per vendetta. Non per cattiveria. No, non per questo. Ma per farli rinsavire, per educarli, “quando ce vò, ce vò”, toccato quota 490.
da montenovonostro |