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Ostra Vetere: “montenovonostro” onora il guelfo bianco Dante Alighieri PDF Stampa E-mail
Martedì 14 Settembre 2021 18:45

Ostra Vetere: “montenovonostro” onora il guelfo bianco Dante AlighieriOnorare Dante Alighieri a 700 anni dalla morte nel 1321 è un dovere cui non si sottrae nemmeno “montenovonostro”, nonostante la nostra strenua difesa del dialetto montenovese, mentre lui è il padre della lingua italiana. Eppure anche proprio come tale lo onoriamo. Oltre al montenovese, anche l’italiano è lingua nostra. Onore, quindi al grande italiano Dante. “montenovonostro” lo onora poi anche come “guelfo bianco”, come un po’ si sente di essere “montenovonostro”: in posizione intermedia fra gli estremi di oggi e di allora. Dante guelfo bianco ha espresso le sue idee politiche nelle sue opere e particolarmente nella “De monarchia”, in cui auspicava l'indipendenza del potere imperiale dal papa, pur riconoscendo a quest'ultimo una superiore autorità morale, parteggiando per la riforma che valorizzava i ceti intermedi nell’ambito della Repubblica fiorentina. Dante credeva, con Aristotele e san Tommaso d'Aquino, che lo Stato avesse un fondamento razionale e naturale. Professando queste idee, ebbe una carriera politica di discreta importanza: fu nel Consiglio del popolo, nel gruppo dei "Savi", fece parte del Consiglio dei Cento, fu inviato talvolta come ambasciatore, e venne eletto priore della Repubblica (la carica più importante del comune fiorentino). Il poeta fu un politico moderato, tuttavia convinto sostenitore dell'autonomia comunale, che doveva essere libera dalle ingerenze del potere esterno e combattere la fazione di chi voleva chiamare gli stranieri a invadere la patria. Perciò contribuì ad allontanare da Firenze i capi e le "teste calde" delle due fazioni avverse, il che fece rischiare un colpo di stato, attirando sui responsabili, Dante compreso, sia l'odio della parte nemica sia la diffidenza degli "amici". Lui stesso definì ciò come l'inizio della sua rovina (il detto "dagli “amici” mi guardi Dio, che ai nemici ci penso io" è ugualmente valido allora come oggi). Condannato in contumacia al rogo e alla distruzione delle case mentre era ambasciatore a Roma, Dante non rivide mai più Firenze. In qualità di capitano dell'esercito degli esuli, organizzò un tentativo di rientrare a Firenze, ma l'impresa fu sfortunata; fallita anche l'azione diplomatica, i Bianchi decisero un nuovo attacco militare contro i Neri, ma Dante, ritenendo corretto aspettare un momento politicamente più favorevole, si schierò contro la lotta armata, trovandosi in minoranza e addirittura sospettato di tradimento. Decise perciò di non partecipare alla battaglia e prese le distanze dal gruppo oltranzista. Come preventivato, la battaglia di Lastra fu un fallimento, con la morte di quattrocento uomini fra ghibellini e bianchi. Dopo ciò dovette rassegnarsi all’esilio: in Lunigiana, in Romagna, in Veneto. Qualcuno sospetta un suo viaggio anche nelle Marche, quantomeno a Fonte Avellana. Comunque lo sentiamo nostro: la stessa sua opera a difesa della dignità della lingua “volgare” italiana, nel “De vulgari eloquentia”, è la nostra stessa difesa del dialetto popolare. Eppure Dante è rimasto nel cuore degli italiani nonostante siano trascorsi ben 700 anni da quando è morto. Onore a lui.

da montenovonostro

 

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