Ostra Vetere: Mensilario dell’inchiesta Manipulite e della fine della Prima Repubblica il 17 febbraio 1992 |
Mercoledì 17 Maggio 2023 18:23 |
Lunedì 17 febbraio 1992 il Pubblico Ministero Antonio Di Pietro chiese e ottenne dal Giudice per le Indagini Preliminari l’ordine di cattura dell'ingegnere Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio e membro di primo piano del Partito Socialista Italiano milanese. Chiesa era stato colto in Flagranza di reato mentre intascava una tangente da un imprenditore di Monza che, stanco di pagare, lo aveva denunciato ai Carabinieri. L’imprenditore,
d'accordo con i carabinieri e con Di Pietro, fece ingresso alle 17:30 nell'ufficio di Chiesa, portando 7 milioni di lire, metà della tangente richiesta per l'appalto ottenuto di 140 milioni e Chiesa aveva preteso per sé il 10%, quindi 14 milioni. Ma l’imprenditore aveva un microfono e una telecamera nascosti e, appena Chiesa ripose i soldi in un cassetto della scrivania dicendosi disponibile a rateizzare la transazione, nella stanza irruppero i militari che notificarono l'arresto. Chiesa, a quel punto, afferrò il frutto di un'altra tangente, stavolta di 37 milioni, e si rifugiò nel bagno attiguo, dove tentò invano di liberarsi del maltolto buttando le banconote nel water. La notizia fece enorme scalpore sulle prime pagine dei quotidiani e ripresa dai telegiornali. Il segretario socialista Bettino Craxi, impegnato nella campagna elettorale per le elezioni politiche nazionali che si sarebbero svolte in primavera, in un'intervista rilasciata al TG3 negò l'esistenza della corruzione a livello nazionale, definendo Mario Chiesa un «mariuolo isolato», una scheggia impazzita dell'altrimenti integro PSI. Rinchiuso nel carcere di San Vittore, Mario Chiesa in un primo momento non confessò. Ma Di Pietro nelle indagini aveva scoperto e messo sotto sequestro due conti svizzeri. Così, sotto interrogatorio, Chiesa rivelò che il sistema delle tangenti era molto più esteso di quanto affermato da Craxi: la tangente era diventata una sorta di «tassa» richiesta nella stragrande maggioranza degli appalti e a beneficiare del sistema erano stati politici e partiti di ogni colore, specialmente quelli al governo. Chiesa fece anche i nomi delle persone coinvolte. Vista la delicata situazione politica, in piena campagna elettorale, alcune formazioni politiche come la Lega Nord iniziarono a raccogliere la crescente indignazione popolare con lo slogan «Roma ladrona!», e altri ancora, come Bettino Craxi, accusarono la Procura di Milano di muoversi secondo un «preciso disegno politico». Subito dopo le elezioni, molti industriali e politici furono arrestati con l'accusa di corruzione. Le indagini iniziarono a Milano, ma si propagarono velocemente ad altre città, a mano a mano che procedevano le confessioni. Ad agosto, Craxi attaccò Di Pietro sull'Avanti!, organo del suo partito: «Non è tutto oro quel che luccica. Presto scopriremo che Di Pietro è tutt'altro che l'eroe di cui si sente parlare. Ci sono molti, troppi aspetti poco chiari su Mani Pulite». Ma il 2 settembre 1992 il socialista Sergio Moroni si uccise. Poco prima aveva scritto una lettera in cui si dichiarava colpevole, affermando che i crimini commessi non erano per il proprio tornaconto ma a beneficio del partito. Craxi, segretario del PSI, molto legato a Moroni, si scagliò contro stampa e magistratura sostenendo che si fosse creato un «clima infame». Prima di Moroni si suicidarono altri due indagati: il socialista Renato Amorese, ex segretario del partito di Lodi, e l'imprenditore Maio Majocchi, vicepresidente dell'ANCE sotto inchiesta per le tangenti dell'autostrada Milano-Serravalle. Le inchieste proseguirono e si estesero in tutta Italia, offrendo un panorama di corruzione diffusa dal quale nessun settore della politica nazionale o locale appariva immune. Politici e imprenditori di primissimo piano furono inquisiti e travolti da una pioggia di avvisi di garanzia. Tra questi anche Bettino Craxi, che a febbraio dovette dimettersi da segretario del PSI. A febbraio, il socialista Silvano Larini si costituì e confessò la verità sul conto “Protezione”, che aveva come reale destinatario il Partito Socialista nelle persone di Claudio Martelli, percettore materiale, e Craxi: Martelli si dimise da Ministro della Giustizia e si sospese dal partito, pregiudicandosi ogni possibilità di succedere a Craxi, che in quelle ore era dimissionario da segretario nazionale. Martelli, accusato di bancarotta fraudolenta, si salverà grazie alla prescrizione del reato dopo aver risarcito 800 milioni di lire. Pochi giorni dopo, al referendum del 18 aprile 1993, gli elettori votarono in massa a favore dell'introduzione del sistema elettorale maggioritario, un segnale politico molto forte della sempre più crescente sfiducia nei confronti della politica tradizionale. Il 29 aprile la Camera dei Deputati negò l'autorizzazione a procedere nei confronti di Bettino Craxi che, in quanto deputato, godeva ancora dell'immunità parlamentare. Quello stesso giorno Craxi si era presentato nell'aula e nel discorso che pronunciò ammise di aver ricevuto finanziamenti illeciti, ma si giustificò sostenendo che i partiti non potevano sorreggersi con le sole entrate legali. La mancata autorizzazione a procedere nei confronti di Craxi scatenò una reazione violentissima: il giorno dopo studenti dei licei romani manifestarono per le strade della Capitale: alcune Università furono occupate, in molte città le sedi del PSI furono assalite dai manifestanti; la stessa sezione nazionale in via del Corso fu oggetto di una sassaiola. Nel pomeriggio i partiti di sinistra indissero una manifestazione a piazza Navona, mentre la destra ne allestì una parallela davanti a Montecitorio: entrambe chiedevano lo scioglimento delle Camere. Al termine delle manifestazioni, un gruppo di persone si avvicinò all'Hotel Raphael, in largo Febo nel centro di Roma, che era la residenza capitolina di Craxi. Quando l'ex segretario socialista uscì dall'albergo, i manifestanti gli lanciarono oggetti di ogni tipo, soprattutto monetine; altri sventolavano banconote gridando: «Bettino, vuoi pure queste?», e nel frattempo venivano scanditi slogan contro il politico socialista cui auspicavano il carcere. Nel corso del 1993 e a seguito della sua testimonianza al processo Cusani, che era accusato di reati collegati tra ENI e Montedison, emersero sempre più prove contro Bettino Craxi: con la fine della legislatura e l'abolizione dell'autorizzazione a procedere, si fece sempre più vicina la prospettiva di un suo arresto. Il 15 aprile 1994, con l'inizio della nuova legislatura in cui non era stato ricandidato, cessò il mandato parlamentare elettivo e, di conseguenza, venne meno l'immunità dall'arresto. Il 12 maggio 1994 a Craxi venne ritirato il passaporto per pericolo di fuga, ma era già troppo tardi perché Craxi, era già ad Hammamet in Tunisia. Il 21 luglio 1995 Craxi fu dichiarato ufficialmente latitante, altro che “esule”. E con la sua fuga finì la Prima Repubblica.
estratto da https://it.wikipedia.org/wiki/Mani_pulite da montenovonostro |
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