Dal Circolo di Scelta Popolare di Ostra Vetere riceviamo la seguente comunicazione: “L’onorevole PD Piergiogio Carrescia ci ha inviato una comunicazione per dirci che “Sulla soppressione delle Province io la penso così”. E spiega di essere contrario all’abolizione delle
Province, per i seguenti motivi: “Forse sarò una voce fuori dal coro, probabilmente una delle poche, ma la proposta di abolire le Province, per di più senza un approfondito confronto con le Autonomie locali e le parti più direttamente interessate (l’U.P.I. ed i Sindacati di categoria), a me non convince. Non è una dichiarazione di bandiera essendo un dipendente pubblico: non è infatti che con l’abolizione delle Province i suoi dipendenti verranno licenziati o… messi al muro. La mia è solo una razionale riflessione sugli effetti del gioco perverso di correre dietro a mode ricorrenti e sul voler trovare il capro espiatorio nell’anello più debole della catena istituzionale (le Regioni hanno soldi, i Comuni hanno i numeri; le Province né l’uno né l’altro...). La Corte Costituzionale, com’è noto, nei giorni scorsi, ha demolito l’intero impianto del cosiddetto riordino delle Province voluto dal Governo Monti perché lo strumento utilizzato, quello del decreto-legge, è atto destinato a fronteggiare casi straordinari di necessità e urgenza ma non per realizzare una riforma organica e di sistema quale quella prevista dalle norme censurate. Con la riforma Monti le Province sarebbero divenute enti di secondo grado, con organi non più eletti a suffragio universale diretto, dotate di minori funzioni e ridotte ad una sessantina sulla base di parametri puramente dimensionali-matematici legati a popolazione e territorio. Era una riforma disorganica, incompleta e d’urgenza, nata sull’emotività dell’antipolitica per “risparmiare”; non c’è però mai stata una quantificazione certa dei risparmi per di più mai stata acquisita al bilancio dello Stato (non si possono certo assumere come cifre inconfutabili le diverse “ipotesi” di presunte economie, stimate secondo l’applicazione dei modelli statistici adottati dall’allora Ministro Giarda). Il risultato è stato fino ad oggi solo il commissariamento delle Province che dovevano andare al voto (es. quella di Ancona), la conseguente eliminazione delle Giunte, tagli pesantissimi ai bilanci, la fuga dei dipendenti nell’incertezza del futuro. Eppure i settori di competenza delle Province non sono pochi: viabilità; costruzione, manutenzione e gestione degli edifici scolastici di istruzione superiore; gestione dei rifiuti, emissioni in atmosfera, scarichi, valutazione di impatto ambientale, difesa del suolo; pianificazione territoriale; servizio extraurbano del Trasporto Pubblico Locale; politiche attive del lavoro e Centri per l’impiego; formazione professionale; protezione civile; caccia e pesca; Polizia Provinciale; assistenza scolastica ai disabili sensoriali della vista e dell’udito e trasporto scolastico (per le scuole superiori) dei diversamente abili; turismo; assistenza tecnica e amministrativa agli enti locali del territorio. Ora il Governo, per superare le censure della Corte, ha in elaborazione un disegno di riforma costituzionale che prevede la soppressione del termine “Province” dalla Costituzione per privare tali Enti della “copertura costituzionale” e poter successivamente procedere mediante legislazione ordinaria. Anziché continuare sulla strada dell’abolizione delle Province ritengo sia invece preferibile ridisegnare l’assetto delle competenze dei vari livelli di governo, riprendere il percorso da anni avviato (e mai concluso) della Carta delle Autonomie (soluzione richiamata anche nella relazione finale del Gruppo di lavoro dei saggi voluto dal Presidente Napolitano) e, non ultimo tener conto delle raccomandazione emerse nella XXIV Sessione del Congresso dei Poteri Locali e Regionali del Consiglio d’Europa del marzo scorso. Vi sono funzioni come ad esempio i rifiuti, il servizio idrico integrato, il TPL che possono essere esercitate dai Comuni in regime di Convenzione in Ambiti Territoriali Ottimali, senza creare nuove sovrastrutture politiche. L’Assemblea dei Comuni, composta dai Sindaci o loro delegati, sarebbe il cuore pulsante della nuova governance mentre l’apparato tecnico-amministrativo deriverebbe dalle Province e dai Comuni consorziati, con evidenti economie di scala. Si potrebbero lasciare in capo alle Province le funzioni che, per semplificazione gestionale, unitarietà e particolarità non sono diffuse sul territorio pur interessandolo (per esempio, l’edilizia scolastica o la viabilità non possono essere frazionate o assegnate ad un solo Comune!). L’art. 114 della Costituzione riconosce pari dignità ai diversi livelli istituzionali; la differenza deve essere solo nei ruoli: quello legislativo alla Regione, quello amministrativo e gestionale ai Comuni e alle Province. E non basta un tratto di penna per cancellare storie ed identità secolari, di territori e Comunità. Il Partito Democratico deve riflettere e molto su questo tema. Nel documento del PD nazionale di pochi mesi fa su “Riforma dello Stato e delle Autonomie Locali: compiti e funzioni di Regioni, Province e Comuni” non si parla di soppressione delle Province ma di riforma. Si legge nel documento: “La piattaforma di una organica riforma istituzionale locale è stata più volte illustrata e sostenuta dal PD, dopo essere stata formalmente assunta – nei suoi principi essenziali – in varie assemblee nazionali del partito. Essa si fonda su alcune idee-forza principali, che qui richiamiamo in estrema sintesi. a) varare il Senato delle Autonomie, sede di confronto e compensazione dei poteri territoriali e superamento effettivo del bicameralismo; b) ridurre le sedi statali e ministeriali sul territorio, riorganizzandole in parallelo al riordino delle Province; c) superare la frammentazione comunale, incentivando fusioni, unioni, gestioni associate dei servizi locali; d) dar vita alle Città metropolitane, senza ulteriori incertezze e rinvii; e) riformare le Province e costituire un nuovo Ente intermedio, più vasto e dalle funzioni di coordinamento e gestionali selezionate; f) eliminare la pletora di enti, agenzie e consorzi, riconducendoli nella competenza diretta dei Comuni e delle nuove Province; g) qualificare le Regioni nella loro funzione legislativa e programmatoria, trasferendo tutti i ruoli di gestione amministrativa agli Enti locali.” Ecco: a questo documento non populista vorrei che il mio Partito si attenesse. Non è il trasferimento del personale (56.000 persone, una ogni 1.300 abitanti, altro che esercito…) alle Regioni o ai Comuni che diminuirà la spesa (per altro in calo sia per il blocco dei rinnovo contrattuali fermi dal 2010 sia per il ridotto turnover) o che migliorerà l’efficienza dei servizi. La destrutturazione dell’architettura istituzionale della Repubblica, nelle sue articolazioni, soprattutto quelle democraticamente elette, non è la “soluzione utile”; i livelli di partecipazione democratica devono invece porsi quali capisaldi per fronteggiare la crisi economica e sociale del paese. In altre parole, la soppressione di un livello di partecipazione democratica (i Consigli provinciali) può senz’altro favorire quel contatto e quella vicinanza tra cittadini e politica, necessario affinché quest’ultima sia davvero “buona politica”. Eliminiamo semmai le sovrastrutture che non servono: le segreterie dei Gruppi consiliari, le segreterie dei consiglieri provinciali, le spese per Convegni, i contributi a pioggia ecc.. Togliamo alle Province le funzioni che con altri modelli organizzativi (es. le Convenzioni) possono essere svolte meglio e a costi minori consapevoli che tutto ciò è però cosa ben diversa dalla loro abolizione. Il miglioramento si avrà quando saranno eliminate competenze multiple sulla stessa materia (sovrapposizioni e duplicazioni di attribuzioni) e quando i procedimenti amministrativi non saranno ostaggio o di dirigenti timorosi, con ritrosia alla responsabilità e alla firma degli atti e quando cesserà una perversa circolarità burocratica da gioco del Monopoli in cui, dopo mesi e mesi, il cittadino che ha la sfortuna di pescare la carta degli “imprevisti” si ritrova al punto di partenza. Se il sessanta per cento degli italiani è contrario alla soppressione della “propria” provincia, un motivo ci dovrà pur essere e, sono convinto che c’è: in uno Stato moderno le Province servono! Roma, 11 luglio 2013 On. Piergiorgio Carrescia". Siamo, e non da ora, in larga misura d’accordo con lui (non su tutto, ovviamente), ma ci auguriamo che alla fine anche tanti altri parlamentari concordino con quello che lui dice”. |