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Il Governo italiano ha presentato l'annunciato ricorso contro la sentenza di Strasburgo per la rimozione dei Crocefissi dalle scuole. Amarezza per le motivazioni PDF Stampa E-mail
Martedì 02 Febbraio 2010 08:49
Strasburgo vuole la rimozione dei crocifissi dalle scuoleApprendiamo dalla stampa che il Governo italiano ha presentato l'annunciato ricorso contro la incredibile sentenza di Strasburgo sulla rimozione dei Crocefissi dalle aule scolastiche. Avevamo più volte preso posizione contro l'incredibile sentenza della Corte europea dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo, che aveva accolto il ricorso dell'atea finlandese Solie Lautsi per far rimuovere i Crocefissi dalle aule scolastiche. Ora giunge la notizia che, come a suo tempo annunciato, lo scorso 29 gennaio il Governo italiano ha presentato ricorso contro quella sentenza, ribadendo che "il crocifisso è uno dei simboli della nostra storia e della nostra identità". Il ricorso alla Grande Camera è per il riesame della decisione del 3 novembre 2009 n° 30814/06, con cui la Corte europea dei diritti dell'uomo aveva ritenuto che l'esposizione del Crocefisso nelle aule della scuola pubblica costituisca violazione dell'articolo 2, del Protocollo 1, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (diritto all'istruzione), valutato congiuntamente con l'articolo 9, che tutela la libertà di pensiero, coscienza e religione. Secondo la Corte di Strasburgo, l'obbligo all'esposizione del simbolo della confessione cristiana limita non solo il diritto dei genitori a educare secondo le loro convinzioni i figli, ma anche il diritto degli alunni di credere in altre confessioni o di non credere affatto. Con il ricorso, il Governo italiano ha dubitato della decisione, come corretta interpretazione e applicazione della Convenzione, per la libertà riconosciuta dalla giurisprudenza europea alla regolamentazione nazionale sulle questioni religiose. E' stata rilevata l'inesistenza di una interpretazione condivisa del principio di laicità dello Stato. La pronuncia è stata considerata contrastante con la giurisprudenza della stessa Corte in materia ed è stato sottolineato che la tesi accolta dalla Corte - secondo cui l'esposizione del crocifisso in aula può rivelarsi incoraggiante per alcuni allievi che a quella religione aderiscono, ma emotivamente "inquietante" per allievi che professano altre religioni o che non ne professano alcuna - finisce per riconoscere un diritto alla protezione di sensibilità più o meno soggettive con relativa, grave incertezza giuridica. Nella presentazione del dossier completo di tutti gli articoli contestati, il Governo ha scritto: "Il crocifisso è uno dei simboli della nostra storia e della nostra identità. La cristianità rappresenta le radici della nostra cultura, quello che oggi siamo". "L'esposizione del crocifisso nelle scuole non deve essere vista tanto per il significato religioso quanto in riferimento alla storia e alla tradizione dell'Italia. La presenza del crocifisso in classe rimanda dunque ad un messaggio morale che trascende i valori laici e non lede la libertà di aderire o non aderire ad alcuna religione". "Cultura, tradizione, storia, identità sono queste le parole chiave per spiegare e reinterpretare la sentenza della Corte europea dei diritti dell'Uomo che chiama in causa il governo italiano per l'esposizione del crocifisso nelle scuole". Dopo aver contestato tutte le argomentazioni sollevate dalla Corte Europea di Strasburgo, il ricorso conclude ricordando che "nell'ordinamento italiano l'esposizione del crocifisso è regolamentata dal decreto legislativo 297/1994, Testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado". "In particolare, gli articoli 159 e 190 lo includono tra gli arredi delle aule. Queste norme si incanalano nel cuneo della tradizione del nostro Paese e sono retaggio di altre più antiche: R.D. 26-4-1928 n. 1297 - Approvazione del regolamento generale sui servizi dell'istruzione elementare e R.D. 30-4-1924 n. 965 - Ordinamento interno delle Giunte e dei Regi istituti di istruzione media". Rimane forte l'amarezza nel dover prendere atto che, per contrastare l'incredibile sentenza di Strasburgo, ci si debba affannare tanto a spiegare il Crocefisso solo come simbolo della "cultura", della "tradizione", della "storia" e della "identità", pur di non ammettere quello che effettivamente è: il bimillenario simbolo religioso della nostra "fede". Ma questo non si può dire a Strasburgo, che altrimenti potrebbe bocciare il ricorso. Miseri noi tutti italiani, se siamo ridotti così, a giocare con le parole per compiacere un'unica atea finlandese, che viene a comandare a casa nostra con l'avallo di qualche giudice straniero alla Corte di Strasburgo. Ma ci serve davvero questo genere d'Europa?
 

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