Italia: Il Presidente della Repubblica ha il diritto alla riservatezza |
|
|
|
Martedì 15 Gennaio 2013 13:49 |
Nella sentenza sul conflitto di attribuzione tra il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e i pubblici ministeri di Palermo che indagano nella cosiddetta "trattativa Stato-mafia", "Il Presidente della Repubblica deve poter contare sulla riservatezza assoluta delle proprie comunicazioni, non in rapporto ad una specifica funzione, ma per l'efficace esercizio di tutte". E' quanto scrive la Corte Costituzionale nelle motivazioni addotte. L'inutilizzabilità delle intercettazioni del Capo dello Stato "può connettersi anche a ragioni di ordine sostanziale,
espressive di un'esigenza di tutela 'rafforzata' di determinati colloqui in funzione di salvaguardia di valori e diritti di rilievo costituzionale", ha scritto inoltre la Consulta. Per quest'ultima, le procedure che la Procura intendeva seguire per la distruzione delle intercettazioni del Capo dello Stato avrebbero provocato un "vulnus" alle prerogative presidenziali" perché, prevedendo una procedura camerale, avrebbero consentito la rilevazione dei colloqui intercettati. Fra le prerogative del Capo dello Stato, la Consulta sottolinea come sia "indispensabile che il Presidente affianchi continuamente ai propri poteri formali, espressamente previsti dalla Costituzione, un uso discreto di quello che è stato definito il 'potere di persuasione', essenzialmente composto di attività informali". E "le suddette attività informali, fatte di incontri, comunicazioni e raffronti dialettici, implicano necessariamente considerazioni e giudizi parziali e provvisori da parte del Presidente e dei suoi interlocutori. Le attività di raccordo e di influenza possono e devono essere valutate e giudicate, positivamente o negativamente, in base ai loro risultati, non già in modo frammentario ed episodico, a seguito di estrapolazioni parziali ed indebite". In sostanza, significa che i colloqui e le telefonate del Capo dello Stato godono di totale riservatezza e le loro intercettazioni non possono essere utilizzate nel procedimento in corso e, anzi, se ci sono vanno distrutte, seguendo l'iter fissato dall'art. 271 del codice di procedura penale, che affida al giudice il compito di disporre la distruzione di intercettazioni vietate e non prevede udienza camerale. La Procura di Palermo aveva invece prospettato il ricorso previsto dagli art. 268 e 269 cpp che prevedono un'udienza camerale per la distruzione delle intercettazioni, con deposito delle conversazioni ad uso delle parti e "conseguente rischio di una loro generale propalazione".
Chiara Fiorani |