L'Ordine dei Giornalisti delle Marche ha diffuso il seguente comunicato: "08/10/2013 - IN CARCERE PER DIFFAMAZIONE Il giornalista Francesco Gangemi, di 79 anni, è stato arrestato a Reggio Calabria dalla polizia in esecuzione di un provvedimento di carcerazione emesso dalla
Procura generale della Repubblica di Catania. Gangemi, direttore responsabile del mensile «Dibattito News» di Reggio Calabria, secondo quanto riporta la stampa locale, deve scontare due anni di carcere per una serie di condanne per falsa testimonianza e diffamazione diventate definitive. Gangemi è stato portato nel carcere di Reggio Calabria.(Ansa). A dare la notizia è stato il figlio Maurizio, che ha dichiarato: “Mio padre, 79 anni, arrestato per non avere rivelato le proprie fonti”. Ecco l’articolo scritto dal figlio e pubblicato su www.giornalisticalabria.it di Maurizio Gangemi-www.giornalisticalabria.it Arrestato il pericolosissimo giornalista Francesco Gangemi. Era inserito nell’elenco dei 5 giornalisti più pericolosi d’Italia stilato da tutti i Ministeri del Bel Paese. Ebbene sì, stavolta lo scoop tocca proprio a me farlo. Per certi versi me lo sarei volentieri risparmiato (lo capirete bene) mentre per altri mi fa piacere scrivere per primo dell’arresto di mio padre. Sì, mio padre! Ieri mattina, due uomini ed una donna della Polizia di Stato di Reggio di Calabria (garbatissimi ed al contempo sconcertati per il dover adempiere a simile ordine ricevuto), proprio nel giorno della visita in città del loro Capo, dott. Alessandro Pansa, dando esecuzione ad un “Provvedimento di esecuzione di pene concorrenti con contestuale ordine di esecuzione per la carcerazione” (artt. 663 segg. c.p.p.), emesso dalla Procura Generale della Repubblica di Catania ed a firma del sostituto procuratore generale Elvira Tafuri, hanno dapprima accompagnato in Questura e, poi, alla Casa Circondariale “San Pietro”, il pericolosissimo giornalista reggino Francesco Gangemi. Colpevole di cosa? Associazione a delinquere, truffa, estorsione, omicidio colposo o premeditato? Rapina, stupro, molestie e maltrattamenti? Rapina, corruzione, abuso d’ufficio o traffico di rifiuti radioattivi? Nulla di tutto questo, ovviamente. La pericolosità sociale del Gangemi, che impone al Tribunale di emettere tale provvedimento e che lo relega il reo in una cella delle patrie galere è dovuta all’aver commesso nientepopodimeno che il reato di… diffamazione a mezzo stampa (art. 595 c.p.). Minchia, signor tenente (come cantava Giorgio Faletti)! In sostanza non un reato “veniale” come potrebbe essere l’omicidio colposo (magari commesso guidando sotto l’effetto di alcol e/o droga per il quale al reo sono concessi gli arresti domiciliari) o l’abuso d’ufficio (magari commesso in ambienti istituzionali per il quale al reo è comunque garantita la libertà fino a dopo il terzo grado di giudizio e, fors’anche, dopo). No, il reato gravissimo di cui si è macchiato il Gangemi è addirittura “diffamazione a mezzo stampa” durante la propria direzione de “Il Dibattito”. Oddio, in verità ne ha commesso anche un altro di reato (quello specificato al punto 1) del provvedimento: quello di cui all’art. 372 c.p. (“falsa testimonianza”). A proposito di quest’ultimo, sapete perché è stato condannato? Perché non ha rivelato, dinnanzi al Giudice, le proprie fonti. Gli ultraquarantenni come me ricorderanno certamente il cosiddetto “scandalo delle fioriere” o “tangentopoli reggina” che investì la città della Fata Morgana nel 1992. In quell’epoca, l’intera Giunta Licandro venne arrestata (tranne il Licandro che si pentì e collaborò finendo anche tra la letteratura con il libro a 4 mani “La città dolente”) per aver preso tangenti da una ditta per la fornitura di fioriere del valore di 90 milioni di vecchie lire. Mio padre, all’epoca consigliere comunale, se non ricordo male ancor prima che scattassero le manette alla Giunta, in aula a Palazzo San Giorgio, si alzò dallo scranno ed affermò che in qualche stanza le valigette entrano piene (di soldi) e ne uscivano vuote. Al processo che ne seguì, interrogato dal Giudice, si rifiutò categoricamente di rivelare chi ed in che circostanza gli diede la notizia. Reato gravissimo, quello commesso da mio padre. Vero? Adesso so che vi stupirò scrivendo, consapevolmente, che le sentenze si rispettano! Si discutono e si commentano, certo, ma si rispettano. Chiunque ne sia il soggetto destinatario, anche mio padre! Detto questo, con la convinzione di chi ha avuto in eredità dal padre proprio rettitudine, onestà e, soprattutto, dignità, a me non resta che discuterne un po’. Posso, per esempio, dire che per reati molto più gravi si rimane liberi (magari di reiterarli); posso, per esempio, dire che mio padre ha da poco compiuto 79 anni; posso, per esempio, elencare tante di quelle patologie gravi che affliggono mio padre da riempire cartelle cliniche di quasi tutte le specializzazioni mediche esistenti; posso, per esempio, dire che mio padre è stato riconosciuto invalido civile al 100% (senza diritto di accompagnatore e, quindi, senza indennizzo economico – diciamo quasi come qualche onorevole, ecco!); posso, per esempio, dire che ho difficoltà a credere che il regime carcerario sia compatibile con tutto quello di cui soffre e con tutte quelle medicine che io e mia madre gli abbiamo scrupolosamente preparato non dimenticando di appuntarli dosi ed orari. E’ una vicenda grottesca quella che vede protagonista mio padre. E’ così tanto grottesca che solo in Italia poteva verificarsi. In nessun altro Paese civile, un giornalista che ha nel dna la sete di Giustizia che ognuno di noi dovrebbe avere è, da oggi, recluso in un carcere! Il provvedimento di arresto. Maurizio Gangemi IN http://www.giornalisticalabria.it/2013/10/06/99601/#more-99601 Giornalista arrestato per diffamazione: ha otto condanne. "Ha omesso di presentare l'istanza per la concessione delle misure alternative alla detenzione nei termini prescritti". Sono otto le sentenze emesse, dal 2007 al 2012, a carico del giornalista di 79 anni, Francesco Gangemi nei tribunali di Reggio Calabria, Cosenza e Catania, in gran parte per il reato di diffamazione. Solo in un caso, Gangemi, è stato condannato per falsa testimonianza, ed è la vicenda fa riferimento all'attività politica del giornalista che ha anche ricoperto la carica di sindaco di Reggio Calabria, per poche settimane, agli inizi degli anni '90 in un periodo travagliato per la città calabrese dello Stretto. L'arresto di Gangemi, è stato eseguito dagli agenti della squadra mobile di Reggio Calabria, città dove il giornalista risiede, su provvedimento emesso dalla Procura generale di Catania a firma del sostituto procuratore generale Elvira Tafuri perché l'ultima sentenza, passata in giudicato, è quella del 21 novembre del 2012 emessa dal tribunale della città etnea. Gangemi, dopo l'arresto, è stato condotto in Questura e successivamente, nel carcere di Reggio Calabria. Nel provvedimento di arresto si legge che Gangemi "ha omesso di presentare l'istanza per la concessione delle misure alternative alla detenzione nei termini prescritti". Da qui la sospensione della revoca e la carcerazione.(Ansa). Siddi e Parisi (Fnsi): “L’arresto di Gangemi è allucinante". “E’ allucinante che a 79 anni un giornalista, condannato per diffamazione e per non avere rivelato le fonti fiduciarie delle notizie, venga arrestato e portato in carcere”. E’ quanto affermano, in una dichiarazione congiunta, il segretario generale della Fnsi, Franco Siddi, e il vicesegretario nazionale della Fnsi e segretario del Sindacato Giornalisti della Calabria, Carlo Parisi. “Quanto accaduto al giornalista pubblicista Francesco Gangemi – affermano Siddi e Parisi – appare una mostruosità difficilmente concepibile per qualsiasi ordinamento democratico che si fondi sulla libertà di espressione, di stampa e sul pluralismo delle idee. Anche le idee più «forti» hanno diritto di esistere. Francesco Gangemi è chiamato a scontare due anni di pena residua dopo che la Procura della Repubblica di Catania ha dichiarato decaduti i benefici di sospensione condizionale della pena, in diverse circostanze, per i suoi articoli pubblicati sul periodico «Il Dibattito». Sorprende che la magistratura, pur in presenza di una legislazione che prevede il carcere per i reati di diffamazione a mezzo stampa e che perciò è stata giudicata incompatibile dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, non abbia individuato misure alternative alla detenzione al pari di quelle che vengono riconosciute in quasi tutte le parti d’Italia a fior di delinquenti ultrasettantenni per crimini efferati di ben altra natura”. “Ci appelliamo al Parlamento perché voglia, con urgenza, – sostengono ancora Siddi e Parisi – riformare la legge sulla diffamazione, come si è impegnata a fare di recente la Camera, per evitare il ripetersi di questi dolorosi sconci. Alle cariche istituzionali dello Stato chiediamo, infine, una considerazione appropriata e umana del caso, che faccia uscire al più presto il giornalista Gangemi dalle patrie galere”. (Ansa) |