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Home Gazzetta dj Comunicati Senigallia: Film sulla filosofia del Novecento al Gabbiano con il Centro Culturale Romagnoli
Senigallia: Film sulla filosofia del Novecento al Gabbiano con il Centro Culturale Romagnoli PDF Stampa E-mail
Venerdì 14 Marzo 2014 17:03

Film sulla filosofia del Novecento al Gabbiano con il Centro Culturale RomagnoliVenerdì 14 marzo alle ore 21,15 presso il cinema Gabbiano di Senigallia verrà proiettato il film “Hannah Arendt” della regista M. Von Trotta. L’iniziativa è promossa dal Centro Culturale “S. Romagnoli” e dal Cinema Gabbiano di Senigallia. Una volta, in occasione di un congresso, qualcuno chiese ad Hannah Arendt: «Chi è lei? Una conservatrice, o fa parte dei liberali? Dove si colloca nell’ambito delle attuali possibilità?». E Hannah Arendt, citando una poesia di Friedrich Schiller, aveva risposto: «Non lo so. Non lo so veramente e non l’ho mai saputo. Mi sento quello che oramai sono, la fanciulla straniera». La risposta della Arendt potrebbe essere intesa allora come una delle chiavi di lettura del bellissimo Hannah Arendt, il film diretto dalla regista tedesca Margarethe Von Trotta, dedicato ad un particolare periodo della vita di una delle più grandi filosofe del Novecento, autrice di opere capitali quali Le origini del totalitarismo e La banalità del male. Forse si sentiva straniera nel senso di aver elaborato pensieri così originali e indipendenti da un certo mainstream intellettuale da renderla spesso estranea ai suoi interlocutori. Come nel caso della fondamentale scoperta che il male non sempre ha un aspetto orripilante, mostruoso. Ma può assumere i connotati di uomini banali, insignificanti. Fantocci incapaci di intelletto e di umana pietà che si sono lasciati sedurre da un meccanismo deciso da altri senza suscitare in loro il minimo sussulto della coscienza. E in quel meccanismo potevano rimanere per anni, magari a massacrare milioni di individui inermi accampando la scusa di aver semplicemente obbedito a ordini superiori. Come nel caso di Adolf Heichmann, il funzionario nazista considerato uno dei maggiori responsabili dello sterminio degli ebrei. E di cui la Arendt aveva seguito il processo dal 1961 al 1964 come reporter del New Yorker a Gerusalemme. Reportage da cui sarebbe poi nato il volume La banalità del male. «Dopo aver studiato per otto anni questa donna straordinaria attraverso libri, documenti, interviste con chi l’aveva conosciuta, ho deciso, insieme alla sceneggiatrice Pam Katz, di concentrarmi sui quattro anni in cui la tanto ha scritto e raccontato su Eichmann», ha detto Margarethe Von Trotta, giunta a Roma per presentare il suo film. «Perché mi sembrava che fosse il modo migliore di mostrare sia la donna che il suo lavoro», spiega: «Il film vuole mostrare Hannah Arendt come una teorica politica e una pensatrice indipendente che viene messa di fronte al suo esatto contrario: il burocrate sottomesso che non ragiona e che sceglie di essere un sottoposto entusiasta. Talmente coraggiosa e indipendente da aver pubblicato anche parti dei resoconti del processo relative ad alcuni comitati ebraici che, pensando di aiutare gli ebrei in pericolo, fornirono informazioni, liste di nomi e beni ai gerarchi nazisti con la speranza di mettere un freno alle loro pretese». Scappata dagli orrori della Germania nazista, la Arendt, nel 1940, aveva trovato rifugio insieme al marito e alla madre negli Stati Uniti, grazie all’aiuto del giornalista americano Varian Fry. Qui, dopo aver lavorato come tutor universitario ed essere divenuta attivista della comunità ebraica di New York, aveva cominciato a collaborare con alcune testate giornalistiche. Fino ai cinque articoli sul processo Eichmann redatti a Gerusalemme per il New Yorker che avrebbero scatenato accese reazioni negli Stati Uniti e in Europa. Reazioni davanti alle quali la Arendt non arretrerà mai di un millimetro. E il motivo di tanto sconcerto, soprattutto da parte di numerose comunità ebraiche che interpretarono il pensiero della Arendt come una sorta di giustificazione del boia, era stato proprio quello di aver mostrato Eichmann esattamente come le era apparso: un omino ripiegato su se stesso, all’interno di una gabbia di vetro. La sciatta mediocrità di quell’uomo non coincideva con la profonda malvagità delle sue azioni. La studiosa aveva intuito rapidamente che quel contrasto era proprio l’enigma che bisogna risolvere. «Quando la pensatrice originale e priva di compromessi si ritrova davanti al burocrate assassino, sia la Arendt che il discorso sull’Olocausto cambiano per sempre. Avversato ferocemente negli anni Sessanta, oggi questo concetto è diventato una componente essenziale di qualsiasi discussione che tenta di giudicare i crimini nazisti» ha aggiunto la regista.

 

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