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Ancona: Esiti del Consiglio Nazionale UDC PDF Stampa E-mail
Domenica 27 Luglio 2014 14:28

Ancona: Esiti del Consiglio Nazionale UDCCi scrive l’amico geometra Sergio Capitoli, a nome dell’UDC, Unione di Centro "Alcide De Gasperi" Ancona, corso Carlo Alberto, 117 - 60127 Ancona, per informare che lo scorso 24 luglio: “si è svolto un importante Consiglio Nazionale UDC, che è terminato nel primo pomeriggio. Spero farvi cosa gradita inviando l'intervento integrale del  segretario nazionale on. Lorenzo Cesa (vedi allegato). Cari Saluti. Sergio Capitoli”. Di seguito l’allegato: “giovedì 10 luglio 2014. Intervento del Segretario Nazionale Lorenzo Cesa DIREZIONE NAZIONALE UDC – ROMA 10 LUGLIO 2014. Care amiche, cari amici, buongiorno a tutti e grazie davvero per la vostra presenza. Considero questa riunione della Direzione una tappa molto importante del percorso che abbiamo intrapreso a febbraio con il nostro Congresso Nazionale e al termine dei lavori di oggi vorrei che uscisse da qui un messaggio forte, rivolto sicuramente a noi, ai nostri amici sui territori e ai nostri elettori, ma rivolto anche e soprattutto all’esterno. Quando parlo di esterno mi riferisco ai milioni di cittadini che sostengono come noi con convinzione il lavoro del Governo Renzi impegnato con generosità e slancio nel tentativo di risollevare l’Italia, ma che non hanno votato e non voteranno Pd. Ai milioni di cittadini che non sono populisti né sfasciacarrozze o estremisti. A quei milioni di cittadini che si sentono molto semplicemente persone di buon senso ma si collocano in uno spazio politico alternativo a quello del Pd. Quello che vorrei uscisse oggi da questa sala e diventasse il primo punto della nostra agenda per le prossime settimane e i prossimi mesi, è un messaggio in linea con il mandato congressuale, sulle battaglie che il nostro partito è pronto ad intestarsi, ma anche un messaggio di sfida, un appello alla mobilitazione di un’area che in questo momento sembra ipnotizzata ed ha bisogno di risvegliarsi, di ritrovare una missione, un senso di appartenenza comune e anche, o forse soprattutto, una speranza. La speranza che non moriremo tutti renziani. Anche perché, io sono un democratico cristiano. E se adesso lo negassi non solo non sarei credibile, ma farei fatica a guardarmi allo specchio alla mattina. E quindi posso dire che morire democristiani, morire per un partito che ha assicurato crescita e benessere per decenni all’Italia poteva avere un senso. Morire per il Pd invece… Insomma, non è che mi convinca molto… Dicevo di un’area ipnotizzata, addormentata, ferma ormai da così tanto tempo, da far sperare ad alcuni commentatori interessati che non esista nemmeno più. Addormentata per colpa della politica, non dei cittadini, perché la politica non è più stata in grado di fare proposte capaci di mobilitarli e tenerli insieme dietro a un progetto. Mi riferisco all’area dei cittadini che vogliono le riforme, vogliono la modernizzazione del Paese, vogliono tornare a costruire per sé e per i loro figli un futuro credendo nel loro Paese, avendo fiducia nella possibilità di un riscatto dell’Italia e che non si sentono né si sentiranno mai di sinistra, ma aspettano – e si augurano – che dal fronte alternativo al Pd si levi finalmente una proposta forte, si costruisca un nuovo fronte comune, aperto, democratico, plurale in cui si possano sentire rappresentati e possano tornare a partecipare alla vita politica attiva. Noi per ragioni di sintesi e per semplicità li abbiamo sempre chiamati i moderati, i popolari, i riformisti, i liberali. Ma siccome oggi siamo in una fase di profondissima ristrutturazione del nostro sistema politico, anche gli aggettivi con cui identifichiamo questo elettorato sembrano avere perso gran parte del loro senso. Per cui possiamo chiamarli come vogliamo, ma quel che è certo è che questi italiani non sono scomparsi. Nessuno riuscirà a convincermi che sono scomparsi i nove e mezzo di milioni di elettori che Berlusconi ha perso nell’ultimo anno e mezzo, tra le politiche del 2013 e le Europee del 2014. Sono persone che hanno aspettato per anni la rivoluzione liberale di Forza Italia e alla fine se ne sono andate deluse perché tra i volteggi e le giravolte di falchi e colombe, tra alleanze sempre più a destra con la Lega di Salvini, aperture piuttosto estemporanee a gay e lesbiche e battaglie per i diritti dei cani barboncini, hanno smesso di crederci. Il nostro partito, sempre in assoluta coerenza con il mandato congressuale di febbraio, ha partecipato alle ultime elezioni europee ed amministrative proprio perseguendo l’obiettivo di creare le condizioni per una riunificazione dell’area popolare e moderata sotto un nuovo ed unico tetto. Lo abbiamo fatto mettendo dei paletti molto precisi: abbiamo detto di essere pronti a dialogare con chiunque come noi si senta alternativo alla sinistra e distante dai populismi e dagli estremismi. E non è stata, e non è, una scelta comoda, e nemmeno una scorciatoia. Ve lo assicuro. Abbiamo lavorato con grandissimo impegno con Antonio, con Giuseppe, con tutto il gruppo dirigente per cercare di mettere insieme le diverse sigle che guardano ai cittadini e agli elettori di cui vi ho appena parlato ed abbiamo fatto, secondo me, tutto quello che si poteva fare nelle condizioni date, con il poco tempo e le poche risorse che avevamo a disposizione. Siamo anche riusciti ad ottenere dei risultati molto importanti ed incoraggianti, al di là della mia elezione al Parlamento europeo, perché i nostri elettori hanno dimostrato con i fatti di saper distinguere in liste composite con candidati provenienti da esperienze diverse, i nostri rappresentanti ed i nostri portabandiera. Ma la fretta dettata dall’imminenza delle elezioni europee, dalla necessità di presentare le liste e poi di raccogliere voti per i nostri candidati, ci ha anche costretto a costruire una proposta comune con altri soggetti come il Nuovo Centrodestra e l’area che fa riferimento a Dellai e Olivero, che al massimo poteva dare l’immagine di una federazione, di una somma di sigle, ma non aveva il tempo di sedimentarsi sui territori, di germogliare e di crescere come una cosa realmente nuova, più ampia, capace di essere – e anche apparire – agli occhi di milioni di elettori disorientati di cui parlavo prima, come l’avvio di un percorso sicuro. Ora quel tempo è davanti a noi e dobbiamo metterlo a frutto. Però dobbiamo farlo cominciando da subito, non pensando di poter ancora rinviare a un domani che non si sa quando arriverà. Sono stato a Bruxelles ieri e questa esigenza di cui vi sto parlando e che avverto così chiaramente in Italia da italiano, la avvertono per il nostro Paese anche i nostri amici stranieri del Ppe. L’Italia è una delle più grandi democrazie europee, uno dei Paesi fondatori dell’Unione Europea. Ha dato e deve dare un contributo fondamentale per la crescita civile, sociale, economica, culturale del nostro Continente. Senza l’Italia l’Europa non può esistere. E dunque proprio perché questo lo sanno bene tutti i popolari europei, vi posso dire che da Bruxelles e dagli altri Paesi dell’Unione in questo momento ci stanno guardando con attenzione e anche con preoccupazione, non solo per la nostra situazione economica, per i problemi del debito pubblico eccessivo. Ci guardano con preoccupazione perché se da un lato vedono il fronte dell’area socialista rappresentato dal Pd crescere fino al 40% e creare le premesse per diventare un interlocutore importante per quell’area, da questa parte, dalla nostra parte, vedono come vediamo noi che il campo moderato ha bisogno di essere completamente ridisegnato. Bisogna ridisegnare i confini, individuare chi sono i soggetti che vogliono davvero farne parte, darsi degli obiettivi, restituire fiducia ed entusiasmo a chi è sempre stato di qua e oggi è stato risucchiato nell’area del non voto o della protesta. Questo è un impegno che dobbiamo assumere non solo perché stiamo parlando del nostro campo, ma soprattutto perché nessuna democrazia può reggere se alla proposta di una parte non si contrappone una proposta altrettanto seria e credibile dall’altra parte: i cittadini devono poter scegliere. Se non hanno possibilità di scelta non c’è più la democrazia. Allora è sotto gli occhi di tutti che abbiamo davanti a noi uno spazio politico enorme, quello di un’area moderata che è completamente da ricostruire. Ma è altrettanto vero che se vogliamo riuscire a ricostruire quest’area, dobbiamo anche essere consapevoli dei limiti della nostra iniziativa fino a ieri, così come credo debbano essere consapevoli dei limiti delle loro iniziative anche gli altri soggetti che si muovono all’interno dello stesso perimetro. E sia noi che loro da oggi dobbiamo essere capaci di lasciarci alle spalle sigle, rendite di posizione, assetti organizzativi superati. O lo facciamo o non andremo da nessuna parte. Né noi, né il Nuovo Centrodestra, né gli amici che si sono richiamati ai Popolari per l’Italia, né tutti coloro che come noi avevano dato un’apertura di credito al progetto di Scelta Civica e oggi hanno dovuto prendere atto che quel progetto non esiste più. L’appello che vorrei fare oggi è di andare oltre gli assetti organizzativi. Costituire i gruppi parlamentari unici è importante e si può fare, anzi va fatto. Sapere chi farà il capogruppo forse può destare l’attenzione fra noi addetti ai lavori. Ma niente di tutto questo servirà a parlare ai territori, alle persone che stanno là fuori. La vera sfida è uscire dal Palazzo e non parlare al chiuso delle stanze del Palazzo. Questo del resto mi è stato chiesto dal Congresso del nostro partito cinque mesi fa e su questo ho assunto il mio impegno di Segretario. Quando qualcuno mi dice che la sigla dell’Udc appartiene più al passato che al presente io non ho problemi ad ammetterlo. Però vorrei che con la stessa onestà intellettuale si prendesse atto che non c’è una sola sigla tra quelle nate ieri e quelle nate l’altroieri nel campo popolare, moderato, riformatore, liberale, che non sia superata. Perché nessuna di quelle sigle è in grado oggi di attrarre milioni di elettori. So bene che il mio non è un discorso facile e che a qualcuno potrebbe dare fastidio, soprattutto fuori di qui, molto più che tra noi – perché noi siamo consapevoli delle nostre qualità ma anche dei nostri limiti. Ma è un discorso che va fatto e va fatto in ogni sede con forza e con convinzione. Quando al Congresso Nazionale Antonio De Poli poneva l’accento con grande passione sui territori parlava di questo. Fra qualche mese si voterà in una decina di Regioni italiane. Io non credo che si possa opporre una strategia vincente in alternativa al Pd se non ci si presenta con un progetto unitario. Se altri, soprattutto fuori di qui, pensano di presentarsi con un’accozzaglia di sigle è meglio stare a casa direttamente. E guardate credo che nessuno mi possa accusare di star svendendo una storia o un simbolo. Tutti sapete perfettamente quanto impegno e quanto lavoro ho messo per salvaguardare il nostro partito e il nostro simbolo. Ma siamo arrivati ad un momento in cui tutti, davvero tutti i moderati, devono fare un passo avanti senza paura di lasciarsi qualcosa indietro. La nostra storia è e sarà sempre la nostra storia e nessuno potrà mai togliercela. Ma se ognuno di noi pensa di presentarsi al tavolo della formazione dei gruppi parlamentari unitari con qualche rendita da rivendicare allora vuol dire che non ha capito nulla. Proprio per questo il mio appello non è un appello alle sigle, ma ai singoli esponenti politici, ai singoli parlamentari, ai singoli dirigenti e quadri di partito. E soprattutto, come ho cercato di spiegare prima, il mio è un appello ai cittadini. Costruiamo la nuova area popolare e moderata. Facciamolo con generosità e senza magliette addosso. Poi naturalmente arriva sempre qualcuno che chiede: ma poi con chi vi alleate? Con la destra? Con la sinistra? Allora io vorrei far notare, spero una volta per tutte, che oggi parlare di alleanze non ha senso. Ma scusate, ma Renzi in questo momento su quanti tavoli sta giocando? Ha fatto un accordo con Berlusconi, parla con i 5 Stelle, gli unici con cui ogni tanto fa fatica a parlare sono i suoi. E allora perché noi dovremmo ogni volta essere quelli a cui si vuole fare l’esame del sangue? Io non ho cambiato idea né oggi, né ieri. Mi sento alternativo alla sinistra e non posso mettermi insieme con i populisti e i nazionalisti. Allora utilizziamo i prossimi tre anni della legislatura per costruire il campo post-berlusconiano. Se sapremo farlo, nemmeno ci porremo il problema delle alleanze perché non saremo noi a doverci cercare gli alleati, ma saranno gli altri a venire a chiederci di allearsi con noi. E noi faremo gli esami del sangue ai potenziali alleati. Cominciamo a costruire. E facciamolo dai contenuti. La vera sfida a Renzi va lanciata sul cambiamento. Perché lui vuole riformare l’Italia ma anche noi vogliamo riformarla. E se oggi siamo sulla stessa barca del suo governo questo non ci esime dal presentare le nostre proposte, dal dimostrare che possiamo avere idee migliori. Per cui sulle riforme ci siamo e ci stiamo. Ma non è che possiamo prendere a scatola chiusa quello che non ci convince o che non funziona. La legge elettorale non va bene, perché non consente ai cittadini di scegliersi i loro rappresentanti. E siccome noi vogliamo ripartire dalle rappresentanze, dai territori, non possiamo accettare che per la governabilità si rinunci alla rappresentatività. Serve un equilibrio diverso, sulle soglie e sulle preferenze. E questo vale per le riforme istituzionali, ma vale anche per le riforme economiche. Io voglio credere alle parole del ministro Padoan che dice che a ottobre non ci sarà bisogno di una manovra aggiuntiva. Bene. Però sappiamo comunque che in autunno bisognerà presentare il bilancio di programmazione e lì bisognerà scrivere in modo molto più preciso di quanto non si è fatto con il Def quali impegni si vogliono prendere. Il nostro impegno, quello su cui credo dovremo caratterizzarci, sarà quello della giustizia sociale. Siamo stati d’accordo sugli 80 euro: è stato giusto stanziare quei soldi e metterli in tasca agli italiani. Ma il vero tema è a chi vanno: ci sono famiglie monoreddito che guadagnano poco più di 24mila euro e che non hanno avuto gli 80 euro perché stanno appena sopra il limite massimo. Io mi chiedo: è più giusto aver dato gli 80 euro a un single che guadagna un po’ meno di 24 mila euro o sarebbe stato meglio darli a chi ha una famiglia da mantenere, guadagna appena un po’ di più, e oggi non arriva alla fine del mese? Questa secondo me è la grande sfida intorno a cui possiamo ricostruire un blocco sociale, dare voce a milioni di cittadini, ricreare una speranza. La sfida di un nuovo welfare, di una nuova Sanità, la sfida della giustizia sociale che vuole avvicinare la spesa a chi ha bisogno davvero. E’ sui contenuti, sulle proposte che si giocheranno le prossime partite elettorali. Non sui richiami alle ideologie che non esistono più e nemmeno ai partiti della Seconda Repubblica che non hanno più niente da dire. Questo è il tema che abbiamo noi davanti oggi, dunque, e di questo vorrei che la Direzione discutesse con l’obiettivo, come dicevo all’inizio, di lanciare una sfida e un appello all’esterno. La sfida a creare qualcosa di nuovo, tutti insieme, con chiunque voglia dare una mano, senza primogeniture, per dare al Paese un’alternativa di governo moderata, riformatrice e popolare. Su questo vorrei che tutti noi ci impegnassimo ancora più che in passato a partire da oggi. Grazie".

da geom. Sergio Capitoli

 

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