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Home Gazzetta dj Comunicati Ancona: Con la legge sul caporalato l’agricoltura viene criminalizzata
Ancona: Con la legge sul caporalato l’agricoltura viene criminalizzata PDF Stampa E-mail
Domenica 23 Ottobre 2016 16:22

Ancona Con la legge sul caporalato l agricoltura viene criminalizzataCi scrive un nostro lettore di Ancona che si firma con lo pseudonimo di “giangi” per inviarci un lungo commento sulla nuova legge sul “caporalato”, cioè lo sfruttamento del lavoro nero in agricoltura, ma non solo: “Di seguito si riporta un articolo a firma dell’Avv. Massimo Mazzanti, esperto di diritto del lavoro in agricoltura e consulente di Confagricoltura che spiega in maniera dettagliata il decreto approvato. SE NE CONSIGLIA UNA ATTENTA LETTURA. LEGGE SUL CAPORALATO, GIUSTA NELLE INTENZIONI MA DEVASTANTE PER LE IMPRESE. AGRICOLTURA CRIMINALIZZATA. Il 18 ottobre scorso, con insolita solerzia, è stato approvato dalla Camera dei deputati il disegno di legge relativo al cosiddetto Caporalato. La legge si compone di 12 articoli. Le novità: viene riscritto quasi al completo il reato di caporalato (intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro), con la sanzionabilità anche del datore di lavoro; l’applicazione di un’attenuante in caso di collaborazione con le autorità; l’arresto obbligatorio in flagranza di reato; il rafforzamento dell’istituto della confisca; l’adozione di misure cautelari relative all’azienda agricola in cui è commesso il reato; l’estensione alle persone giuridiche della responsabilità per il reato di caporalato; l’estensione alle vittime del caporalato delle provvidenze del Fondo antitratta; il potenziamento della Rete del lavoro agricolo di qualità, in funzione di strumento di controllo e prevenzione del lavoro “nero” in agricoltura; il graduale riallineamento delle retribuzioni nel settore agricolo. Si tratta di un coacervo di norme fortemente connotate ideologicamente, frutto della martellante opera propagandistica sindacale, del tradizionale doroteismo della politica, della pervasiva onnipresenza delle burocrazie, del politicamente corretto, del giustizialismo oramai imperante in tutti i campi. Che tristezza scorrere le agenzie e leggere le dichiarazioni dei vari esponenti della politica e delle istituzioni. Viene il sospetto che né il ministro Martina né il ministro Orlando abbiano letto il provvedimento da loro stessi proposto e comunque non vi è stata alcuna considerazione circa le giuste osservazioni critiche avanzate nel merito del provvedimento da molte parti, ad esempio prima da Confagricoltura poi da Agrinsieme, che avevano anche suggerito leggere migliorie testuali sul concetto di sfruttamento. Per inciso è incredibile il commento del ministro Martina che parla di “campagna agrumicola alle porte” come se la legge riguardasse solo l’agricoltura, cosa che non è! Così si criminalizza l’agricoltura e gli imprenditori agricoli e si determina un non condivisibile disvalore sociale per il settore. Una delle norme qualificanti il provvedimento è il nuovo testo dell’art. 603 bis del Codice penale, che prevede (peraltro come si diceva per tutti i settori produttivi) una nuova disciplina per il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, nuova disciplina che oggi può colpire indiscriminatamente anche l’imprenditore agricolo. Ecco il testo: “È punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore reclutato, chiunque: 1) recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori; 2) utilizza, assume o impiega manodopera (anche mediante l’attività di intermediazione di cui al numero 1), sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno”. La nuova norma prevede l’inserimento del reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro tra quelli per i quali è prevista la responsabilità amministrativa degli enti, di cui al D.Lgs. 231/2001. La sanzione pecuniaria a carico dell’ente “responsabile” del reato di caporalato è stabilita tra 400 quote e 1.000 quote (art. 25-quinquies); si ricorda che l”importo di una quota va da un minimo di 258 a un massimo di 1.549 euro. Ovviamente nessuno vuole criticare la norma approvata nella parte in cui si punisce chi utilizza caporali e pone in sostanziale schiavitù i lavoratori o approfitta dello stato di bisogno altrui. Del tutto non accettabile è invece la parte della norma che definisce lo sfruttamento del lavoratore sulla base di indici di incerta e discrezionale lettura e che può colpire tutti gli imprenditori, anche quelli più rispettosi delle norme di legge citate dalla norma. Il concetto di “sfruttamento” è infatti il punto focale del testo normativo. “Costituisce indice di sfruttamento la sussistenza di una o più delle seguenti condizioni: 1) la reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato, 2) la reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie; 3) la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza ed igiene nei luoghi di lavoro; 4) la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti”. In buona sostanza, la mera, ancorché reiterata, violazione di una delle centinaia di regole in materia di sicurezza del lavoro, spesso puramente formali, ovvero la non ottemperanza ad obblighi di carattere contrattuale e cioè in ordine alla corresponsione del salario, all’organizzazione del lavoro, alle ferie – che per inciso per i lavoratori agricoli avventizi (che sono la maggioranza) non sono contrattualmente previste – determinano la sussistenza della fattispecie penale. L’imprenditore diventa un delinquente se usa, indipendentemente dalla esistenza di un caporale, anche personale regolarmente assunto e risultante dai libri obbligatori, dipendenti “non in regola” secondo i parametri contrattuali collettivi: si passa dal civile al penale senza colpo ferire, dal Giudice del lavoro al Giudice penale. Drammatica è, però, la conseguenza della condotta: la norma introduce, infatti, un nuovo articoletto, il 603 bis.2, in tema di confisca obbligatoria: “In caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale per i delitti previsti dall’articolo 603 bis, è sempre obbligatoria… la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto o il profitto, salvo che appartengano a persona estranea al reato. Ove essa non sia possibile è disposta la confisca di beni di cui il reo ha la disponibilità, anche indirettamente o per interposta persona, per un valore corrispondente al prodotto, prezzo o profitto del reato”. In pratica l’imprenditore agricolo “sfruttatore” che ha, ad esempio, assunto in regola il personale, però non ha fatto godere del riposo domenicale i dipendenti, non ha concesso le ferie, ha esagerato con l’orario di lavoro, è spogliato dei propri beni, della terra, delle macchine agricole, che passano allo Stato. Per il reato è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza; il nostro agricoltore sarà, quindi, tradotto al carcere; sarà però in buona compagnia tra assassini, stupratori, rapinatori, terroristi e quanto altro (art. 380 comma 2 c.p.p.). Nelle more giudiziali si potrà comunque avere il sequestro dei beni o in alternativa il controllo giudiziario dell’azienda agricola, una sorta di amministrazione controllata sotto l’egida giudiziale e volta a conservare la struttura aziendale e la produzione. Il testo approvato modifica in alcuni punti anche le regole sulla cosiddetta “Rete del lavoro agricolo di qualità”.

da "giangi"

 

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