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Roma: L’ANPC sul nuovo Vicario di Roma PDF Stampa E-mail
Venerdì 14 Aprile 2017 15:09

Roma L ANPC sul nuovo Vicario di RomaIn occasione della nomina del nuovo Vicario per la diocesi di Roma, Papa Francesco ha rivolto a tutti  un invito a contribuire alla scelta. Lo ha fatto chiedendo al clero e ai fedeli laici di esprimersi sulle urgenze e i problemi della diocesi, sul profilo e sul nome del futuro vicario. Un atto che apre uno scenario e introduce una pratica pastorale comunitaria decisamente inediti per Roma, dove il suo vescovo indica con forza la via della sinodalità e dell'ascolto. In allegato pubblichiamo il contributo del nostro Segretario Nazionale, Maurizio Gentilini, a questo invito, ricordandovi che è possibile fare altrettanto fino al 12 aprile, facendo arrivare il proprio scritto indirizzato al Papa in doppia busta chiusa alla cancelleria del Vicariato. Clicca qui per leggere: Sul_nuovo_Vicario_M_Gentilini_20170408_V1. Roma, 8 aprile 2017 Padre Santo e Padre Vescovo, rispondendo al Suo invito a contribuire alla scelta del nuovo Vicario, Le scrivo da fedele laico della diocesi di Roma, da “battezzato semplice” (nel senso di non appartenente ad alcuna organizzazione o movimento ecclesiale), e da semplice membro del santo Popolo fedele di Dio, lietamente inappagato dalla condizione della propria Chiesa, così come sempre inappagante è la ricerca di Dio. Eviterò di motivare e suffragare le mie riflessioni e affermazioni con riferimenti alle Scritture e a documenti e pronunciamenti ufficiali, cercando di parlare col cuore e con la pura passione ecclesiale, perseguendo la strada della sinodalità e dell'ascolto come nuova pratica di annuncio del Vangelo. Non sono in grado di indicare nomi. Troppo scarsa è la mia conoscenza di una realtà tanto complessa come quella della Chiesa di Dio pellegrina in Roma e troppo grande la paura di far torto a qualcuno. Mi soffermerò piuttosto su alcuni – pochi e molto parziali - tratti del profilo del nuovo pastore che, a mio modesto avviso, sarebbero particolarmente utili nella presente temperie storica ed ecclesiale. Vivo nell’Urbe da 15 anni, e in questo periodo ho potuto rendermi conto quanto la realtà romana rappresenti un unicum a livello organizzativo e – soprattutto - di mentalità, spesso estremamente distante da tutte le altre chiese locali, con un fortissimo riferimento alla dimensione gerarchica e burocratica dell’organizzazione (anche di base), dove il clero romano e i gradi ministeriali maggiori incarnano e trasmettono un senso di consapevolezza di sé, di essenzialità primaziale e di esclusività veramente fuori del comune. Tale atteggiamento mi ha dato spesso l’impressione di una comprensione decisamente singolare e a tratti parziale dell’orizzonte e della visione conciliari, dove visibilità e sacramentalità della Chiesa appartengono a tutto il popolo di Dio. L’immagine che l’Ecclesia romana esprime è quella di un rigido corpo piramidale gerarchicamente dipendente dai vertici, piuttosto che un organismo sviluppato secondo uno schema a cerchi concentrici, regolati dalla comunione. Nella scelta del nuovo Vicario, Le chiedo innanzitutto di individuare ed esprimere una persona consapevole del fatto che i principi e le norme generali della dottrina – per dimostrare la loro bontà e funzione salvifica - debbano sempre venire incarnati nella pastorale e possano interpellare ogni realtà ecclesiale, per rinnovarne costantemente il cuore e ridimensionarne le aspirazioni mondane, in primis quella del potere. A proposito del tema del ruolo e dello spazio dei laici nella Chiesa, mi rifaccio alla Sua lettera del 19 marzo 2016 inviata alla pontificia commissione per l’America latina. Un documento al quale forse non è stata garantita la diffusione che merita, ma che personalmente affiggerei alle porte di ogni parrocchia (vista anche la ricorrenza del 500.mo anniversario di un’altra famosa affissione dedicata al rinnovamento della Chiesa). Abbiamo bisogno che ai vertici siedano persone che, per definire il soggetto storico che forma la Chiesa come sacramento, come mistero, come corpo mistico di Cristo, credano nella e si servano della formula “Santo Popolo fedele di Dio”. Una definizione che si pone al di sopra di tante astrattezze teologiche, riduzioni sociologiche, irrigidimenti istituzionali e suggestioni carismatiche. Dobbiamo puntare al recupero dell’affermazione - chiara e netta - che la Chiesa è Popolo di Dio, che l’identità cristiana è fondata sulla condizione battesimale, che “nessuno è stato battezzato prete o vescovo”, che “ci fa bene ricordare che la Chiesa non è una élite dei sacerdoti, dei vescovi, dei consacrati, ma che tutti formiamo il Santo Popolo fedele di Dio”. Un popolo unto con la grazia dello Spirito Santo, e quindi capace di riflettere, pensare, valutare, discernere. Ho sperimentato con sofferenza come uno dei peggiori mali della Roma cristiana sia il diffuso clericalismo, e la conseguente concezione del laicato visto come “mandatario”, cioè destinatario passivo dell’azione e dell’autorità dei pastori, relegato in un ruolo ausiliario di collaborazione. Una asimmetria che si traduce anche in un particolare fenomeno, sottolineato in un passaggio della Sua lettera che afferma: “senza rendercene conto abbiamo generato una élite laicale, credendo che sono laici impegnati solo quelli che lavorano in ‘cose da preti’, e abbiamo dimenticato il credente che molte volte brucia la sua speranza nella lotta quotidiana per vivere la fede”. Un atteggiamento clericale che manca di fiducia, che manca di apertura allo Spirito, che è “più preoccupato a dominare spazi che a generare processi”, a garantirsi un potere (anche con intenzione di bene) che a condividere un cammino. Ormai sembra che il solo spazio di impegno nella Chiesa sia quello dei ministeri, soprattutto liturgici. Di dimensione secolare del laicato e della sua maturità come valore non si sente quasi più parlare. I consigli pastorali sono organismi sempre più facoltativi e – quando vengono costituiti – si corre a sottolinearne la funzione puramente consultiva. A proposito della formazione (partendo dalla catechesi vocazionale e dai seminari), serve che i ruoli guida (Vicario in testa) abbiano la consapevolezza che “il pastore è pastore di un popolo, e un popolo lo si serve dal di dentro”, fissando i verbi in cui declinare il ministero: “guardare, proteggere, accompagnare, sostenere, servire”. Perché nel e con il popolo agisce lo Spirito Santo, e questo non è solo proprietà della gerarchia. Solo così l’invito a “puzzare di pecora” sostituirà la “puzza sotto il naso” di chi si sente investito di funzioni direttive, di esempio, di coordinamento, attraverso “mandati” che appaltano l’esclusiva di certe funzioni e ne privatizzano lo svolgimento, senza alcun senso della comunione, della diaconia e della koinonia… Non si tratta di rivendicare ingenuamente l’ "ora dei laici" (è stato già fatto millanta volte …), ma di chiedere che si rifletta sulla e si investa nella “maturità dei laici”; che l'attributo della “docilità” loro richiesto e così spesso sottolineato sia essenzialmente quella allo Spirito Santo, piuttosto che l'attitudine a dire sempre un acritico sì alla volontà dei pastori; che la prospettiva della loro ministerialitá non sia quella dei pesci di un acquario, ma che sia la capacità di uscire al largo e nuotare in qualsiasi mare. Un esempio eloquente e istruttivo lo attingo dalla storia d’Italia degli ultimi decenni: la rinuncia della gerarchia ad investire sulla formazione delle coscienze in campo politico e civile, ad affidare al laicato la giusta fiducia e a conferirgli adeguata autonomia nel discernere e decidere su “quel che è di Cesare”; la tendenza ad intervenire direttamente, senza rispetto per la laicità di ruoli, tempi e luoghi, interloquendo con il potere di turno e richiamando la non negoziabilità di certi valori (proposti come barriera ideologica e quindi astratta) … e ritrovandosi a trattare laicamente attraverso compromessi sempre al ribasso e per miseri piatti di poco nutrienti lenticchie. Il risultato, sotto gli occhi di tutti, è stato l'isterilimento di una tradizione di pensiero e di una presenza che, in un passato ormai non più prossimo, aveva garantito all'Italia e all'Europa un livello di progresso civile e democratico mai raggiunto prima. La secolarizzazione della società e della cultura e le forze che la sostengono non hanno perso un punto, guadagnando l’afasia, l’inconcludenza, la marginalità del mondo cattolico e di ogni istanza e proposta di valore civile che da esso provenga, incapace di fare sintesi e di incidere in uno scenario di complessità culturale e pluralismo religioso. Alla guida della diocesi di Roma serve soprattutto qualcuno che renda le (tante) “parole parlate” delle “parole parlanti”, ovvero autentiche, meditate e sofferte, frutto di una corrispondenza tra i gesti e le parole, tra le parole e le azioni, tra le promesse e gli adempimenti. Una corrispondenza tra ciò che noi, per grazia di Dio, vogliamo essere e ciò che riusciamo ad essere nella nostra vita quotidiana. Allora la comunione ecclesiale si manifesterebbe come criterio di giudizio e di azione e la sinodalità diventerebbe un costume e un camminare insieme autentici, sinceri e fecondi. In questa prospettiva, la corresponsabilità non escluderebbe nessuno e nessun argomento. E nessun argomento verrebbe trattato come una conferenza, ma letto e incarnato alla luce dello Spirito Santo, che fa di ogni cristiano una persona libera, coraggiosa e diversa dall’altra, che spalanca le porte e ti invia a dare testimonianza di Gesù. Acquisito questo atteggiamento di base, molti benefici effetti si rifletterebbero su tutta la vita e la prassi ecclesiale. Sulla liturgia, per darle consistenza simbolica e significato salvifico; che sarebbero compresi e considerati come strumento visibile ed efficace della Grazia; nella carità, permettendo di vedere i poveri come immagine privilegiata di Cristo, e di assumere povertà e sobrietà come stile di vita; nella pastorale, coinvolgendo i talenti e l’esperienza di molti nelle decisioni e nei progetti; ma anche nell’avvertire l’importanza ed il bisogno della pace e della salvaguardia del creato; nel comprendere la necessità strutturale dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso (quanto poco se ne parla a Roma!) e dell’inculturazione della fede. Da ultimo, Le chiedo un vicario che rompa con la consuetudine del "blocco d'ordine" burocratico governato dai codici e dai canoni (e che annulla ogni profezia e ogni speranza), che non incarni solo posizioni e funzioni eminentemente di governo, che assuma un vero e proprio ruolo pastorale, capace di riconoscere una situazione territoriale e spirituale dove le periferie esistenziali stagnano nel degrado. Una Chiesa che badi all’essenziale, che non si perde negli apparati organizzativi e che sia fondata sul valore della relazione fraterna. Una Chiesa che sappia veramente mettere al centro gli ultimi e i poveri, ritrovandovi l’umanità di Gesù e il volto di Dio fra noi. Una Chiesa che non dipenda dai singoli operatori e dalla loro specializzazione, dove non conti tanto “la fascetta dell’appartenenza” a un gruppo o ad un’associazione ma la collaborazione fra tutti. Una Chiesa dove il vero soggetto della pastorale sia sempre e solo tutta la comunità cristiana riunita nella messa domenicale, ove ci si accoglie, ci si perdona, si ascolta, si prega, si fa memoria e poi si esce per un servizio al prossimo. Così la messa non sarà mai finita, e ci lascerà dentro la “santa inquietudine” di non lavorare per il nostro orticello, ma per tutta la comunità e l’umanità, lasciando segni di resurrezione e seguendo la prospettiva del Regno. Al di là del nome del futuro vicario, che pure è importante, penso che con questa Sua iniziativa di sollecitazione e di ascolto del popolo di Dio (seppur poco pubblicizzata e valorizzata) sortirà delle ricadute inevitabilmente positive per la città, la diocesi e tutto il tessuto ecclesiale. Un’iniziativa che ha indicato i tempi lunghi della semina, ma anche l’opportunità di riconoscere i frutti che il Signore fa crescere nella nostra Chiesa. Che la sveglia provenga dal "basso" è più di un desiderio. Chissà che proprio Roma non diventi esempio da seguire nel campo della corresponsabilità pastorale e della costruzione di una città di Dio dentro la città dell’uomo diversa. Chissà … Comunque, l’importante è che domenica prossima Lui sia nuovamente risorto. Fraternamente Suo Maurizio Gentilini".

da ANPC Nazionale

 

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