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Dall’Italia: I cattolici nella Resistenza Lombarda PDF Stampa E-mail
Martedì 01 Agosto 2017 16:19

Dal ’Italia I cattolici nella Resistenza LombardaSu segnalazione della preziosissima Carla Bianchi Iacono, pubblichiamo l'intervento di Giovanni Bianchi, il nostro amato Presidente scomparso recentemente, tenuto nella parrocchia di San Michele Arcangelo il 23 maggio scorso e la locandina  del convegno e mostra sui cattolici nella resistenza lombarda. Scrive il giornalista Silvio Mengotto, giornalista legato alla Curia di Milano e di Incroci news, che ha partecipato alla preparazione dell'incontro: "La morte di Giovanni Bianchi ci colpisce nel profondo, così improvvisa e in parte simile a quella di Sara la sua amatissima figlia. Oggi la sua ultima relazione assomiglia ad un "testamento" e non solo. Vi segnalo il testo della relazione che lui ha fatto tutta a braccio, noi abbiamo registrato e "sbobinato" e il testo delle conclusioni del convegno di Giovanni Bianchi dove con la sua consueta e trascinante passione ribadisce tre convinzioni che caratterizzano il suo ultimo libro Resistenza senza fucile: il problema, sempre più urgente, della trasmissione della memoria alle nuove generazioni; la Resistenza come lotta di popolo; la peculiarità dei cattolici nella Resistenza è stata quella di una lotta senza odio con l'obiettivo del male minore". Ringraziamo sia Carla Bianchi Iacono che il giornalista Mengotto per questo importante contributo. Per la libertà: i cattolici nella Resistenza lombarda (23 maggio 2017) Giovanni Bianchi «Non parlerò tanto dei cattolici, ossia ne parlerò eccome, ma come una parte del popolo italiano, che lentamente con grandi contraddizioni e sacrifici, prende man mano coscienza e si oppone al fascismo. Perché? Per una ragione anzitutto anagrafica. I partigiani ancora vivi hanno 93 anni. E’ chiaro che hanno ingaggiato una battaglia con l’anagrafe che non può essere che perdente. Si tratta di vedere come questa loro esperienza possa continuare al di là anche della loro presenza fisica. Memoria e quotidianità per i giovani. A chi narrare questo processo e queste gesta? Anzitutto bisogna cercare di fare qualcosa ai giovani i quali li trovi in due occasioni: nelle scuole e nelle società sportive.  Se vuoi fare un discorso sulla Resistenza a un certo numero di giovani devi praticare questo. Recentemente ho presentato il mio libro Resistenza senza fucile (Edit. Jack Book) al liceo Erasmus di Sesto San Giovanni. Se il preside è bravo ti trovi 250 alunni in una palestra e tocca a te suscitare l’interesse. A partire da cosa? Non dal numero di fucili che i partigiani avevano, neppure dal tipo di manovra fatta in val Camonica, ma da una quotidianità che era quella dalla quale sono emersi i loro coetanei che si opposero al fascismo e, in non pochi casi, andarono anche a morire. Una delle cose che mi ha sempre molto colpito, non solo nelle lettere dei condannati a morte nella Resistenza italiana, ma anche in quella europea, è imbattermi in giovani ventenni, che non credono, e affrontano la morte scrivendo la sera prima dell’esecuzione ai genitori, alla fidanzata, alla moglie dicendo vado a morire per questo ideale, per la libertà e la democrazia. «Guardare più con lo sguardo del paesaggista, che con quello del ritrattista». Io sono di Sesto San Giovanni detta Stalingrado d’Italia non perché Sesto San Giovanni sia copia corrusca della Brescello di Guareschi don Camillo e Peppone. Non c’entra assolutamente niente! Sono gli scioperi del ’43, in particolare quelli del marzo ’44, che vedono Sesto San Giovanni scendere in sciopero. Noi avremo qualcosa come 400 deportati, 250 che non torneranno più. Tra i quindici fucilati a piazzale Loreto, sei abitano a Sesto San Giovanni o lavorano nelle fabbriche di Sesto San Giovanni. Non a caso Sesto San Giovanni è medaglia d’oro della Resistenza. Ma qual è il fatto scatenante, questa immagine e icona di Sesto San Giovanni Stalingrado d’Italia? Ricordo un episodio che mi raccontò mio padre che lavorava ai forni elettrici che già la Falck aveva. Il comandante tedesco Zimmermann, capo della piazza di Milano, aveva il senso della narrazione teatrale, lo fa a Sesto San Giovanni e qualcosa di peggio alla Tosi di Legnano. Raccoglie sul piazzale della Falck unione i lavoratori, sale sulla torretta di un carro armato, prende un foglio e dice “questi sono i dieci punti che ho pattuito con i vostri imprenditori”. Li legge poi dice “chi non è d’accordo faccia un passo avanti”. Gli operai sono coraggiosi ma non stupidi. Nessuno ha fatto un passo avanti, si sono girati, quelli della Falck nei loro spogliatoi, gli altri nelle loro fabbriche ed è cominciato lo sciopero. Quella stessa notte sono incominciati i rastrellamenti, in gran parte a Mauthausen, Dachau e Ibsen. Papà e gli zii per qualche notte dormirono fuori casa da parenti in Brianza. Lo zio Luigi che faceva il sarto l’hanno preso e deportato a Mauthausen da cui è riuscito a tornare. Ho ricordato questo episodio per collocare immediatamente la Resistenza in un elemento della vita quotidiana come è quella di fabbrica. A partire da qui, dopo 72 anni dal primo 25 aprile, credo che bisogna avere uno sguardo complessivo, che non quello limitato ai singoli personaggi. Certamente i personaggi ci sono. Se uno è un tenore anche nel coro lo senti. L’importante è far vedere il contesto. Il babbo di Carla Bianchi è il leader dei cattolici nella Resistenza milanese, però è dentro un tessuto. Per cui il Cln si trovava dai salesiani, padre Turoldo e Camillo De Piaz della Corsia dei Servi pubblicano il giornale L’Uomo, hanno rapporti con il movimento giovanile comunista e negli anni ’70 al Palalido riceveranno da Enrico Berlinguer una medaglia d’oro. Questo, a mio giudizio, deve essere lo sguardo. Cosa significa? In termini impolitici vuol dire guardare più con lo sguardo del paesaggista che con quello del ritrattista. Se poi una persona ha una forte fisionomia viene fuori, ma questo è il contesto. «La Resistenza è veramente una lotta di popolo». Da qui esce un concetto molto dibattuto, che la Resistenza è veramente una lotta di popolo. Sbagliato il calcolo che dice i partigiani prima del 25 aprile erano 130mila, dopo sono raddoppiati a 250mila. Non è lì il problema. E’ una lotta di popolo perché era nei quartieri, nelle parrocchie, attraversava la Curia di Milano – poi dirò qualcosa sul cardinale Schuster e su don Giovanni Barbareschi – di Oscar l’organizzazione che portava i rifugiati, gli ebrei in Svizzera. Tutto questo è dentro un modo di essere popolo dove i cattolici erano insieme agli altri e gli altri erano insieme ai cattolici. Faccio un esempio più eclatante tratto da Sesto San Giovanni. Mariuccia Mandelli era segretaria del direttore generale della Magneti Marelli, ai tempi era la fabbrica con il più alto tasso tecnologico dove il fascismo aveva molto investito. Un giorno si presenta dal direttore e dice “quando l’avverto lei si butta dalla finestra, ci sarà chi la prende perché arriveranno i nazisti”. Questo per dire come funzionavano le cose. Si mette subito in rilievo. Messa quotidiana e grande partecipazione sindacale nella Fiom di Alberganti a Milano segretario della Camera del lavoro. La mettono nella direzione generale della Fiom, poi si va verso le elezioni del ’48. Si vuole farla eleggere alla Camera dei deputati. Sapete come è finita? Un mese prima la Mariuccia è andata ad Assisi per diventare suora di clausura. E’ morta un anno fa. Alla Breda da 6000 lavoratori diventano 15.000 solo 252 erano gli iscritti al partito fascista, alla Magneti Marelli erano molti di più. Il fascismo cercava di investire sui quadri tecnici. Vi dico una cosa che non è saputa. Nel 1930 la Magneti Marelli di Sesto San Giovanni aveva in pratica la televisione che funzionava come lo streaming di oggi, ovviamente non era nelle case. Siamo nel 1930! «C’era una fortissima pressione educativa». Sono cose dimenticate che dicono un altro elemento. Questo popolo italiano, che cresce sui territori, nelle fabbriche, nelle cooperative, nelle parrocchie, è sottoposto a una pressione psicologica propagandistica notevole. Noi non abbiamo il corrispondente di Goebbels, genio della propaganda nazista, ma Mussolini non era a lui inferiore nella propaganda era molto bravo. Pensate che, lo si legge ancora oggi sulle vecchie cascine, “è l’aratro che traccia il solco ma è la spada che lo difende”. E’ una cavolata ma c’era dentro l’Impero, l’Italia rurale, era una sintesi che solo quelli della Star, nel dopo guerra, riusciranno a fare magari scherzosamente dicendo “con Olita ti lecchi le dita”. Il genio della pubblicità in queste cose c’era! Come c’era una fortissima pressione educativa. Due punti della spiritualità cattolica. Approfitto di questa osservazione per parlare del cardinale Ildefonso Schuster. A Milano ci sono due punti di irradiazione del pensiero, dell’etica, e anche della spiritualità cattolica: il cardinale Schuster e padre Gemelli. Schuster, abate di San Paolo, benedettino, apparentemente esile, ma coriaceo in una maniera incredibile al punto che il cardinale di Parigi lo definiva un “malvivente”, non che fosse tale ma perché vive male, lavora sempre e quando non lavora prega. Fu anche un grande organizzatore. Quando ci fu la campagna d’Etiopia si lasciò andare a qualche espressione troppo celebrativa, cosa che gli ha rallentato la canonizzazione. Sono informazioni passate dal cardinale C. M. Martini e da Giuseppe Lazzati, quindi mi posso fidare. Però il cardinale Schuster conferendo la cresima, gli gira e dice «me che balilla, voi siete soldati di Cristo». Il fascismo aveva fatto anche un catechismo del giovane fascista, del balilla. Ecco il mondo cattolico, dove viene fuori la Chiesa milanese e non soltanto lei, anche quella brianzola. Una cosa dimenticata è che la Brianza è stato un luogo di grande resistenza al fascismo. Nel 1922 il fascismo prende il 28% in Brianza, si ferma mentre i popolari prendono il 40% e tutte insieme le forze di opposizione arrivano al 70% e passa.  La Brianza non solo è bianca ma anche antifascista. Due anni fa ci fu una polemica sui social sui termini antifascista o afascista. Non è la stessa cosa, però è un elemento che lo si supera alla costituente. L’altro faro, molto più vicino al fascismo, è padre Gemelli, frate francescano intelligentissimo, irruento che viene all’anticlericalismo e dal positivismo. Ho studiato in Cattolica, tra i miei maestri ho avuto Miglio, Alberoni, ho colto questo elemento. Qual era l’idea di padre Gemelli? Noi prepariamo i quadri cattolici per lo Stato corporativo con qualche confusione tra il corporativismo cattolico medievale con il corporativismo fascista, che non erano proprio la stessa cosa. Un'altra persona finissima che ho conosciuto, scrittore sapidissimo, è mons. Francesco Olgiati, costantemente amico dei giovani e dei gatti. Le sue opere hanno avuto qualcosa come 30/35 edizioni. Quindi con una diffusione fortemente capillare a Milano. Il primato dell’educazione. Da questo viene fuori che i cattolici non hanno mai mollato nei confronti del fascismo sul primato dell’educazione. I giovani li educhiamo noi. Fatevi tutti i vostri littoriali, tutti i balilla di questa terra, il sabato fascista, poi gli scout cattolici che resistono ma pure l’associazionismo cattolico, tanto è vero che il fascismo aggredirà i circoli popolari e cattolici nel 1933 e faranno a botte e ci sono morti! Ancora un paio di esempi tratti dalla quotidianità. A Sesto San Giovanni, Stalingrado d’Italia, il leader del Cln è il prevosto don Enrico Mapelli – citato nella Mostra fotografica – popolare della prima ora, che aveva fondato i circoli prima a Cantù, poi a Vedano. Quando arriva a Sesto San Giovanni gode già la fama di grande antifascista al punto che in un documento della polizia fascista si dice che il primo da far saltare è il Mapelli! Lui si era organizzato e aveva fatto mettere dei giovani dell’oratorio sulla canonica dei fari, se ci assaltano li accendiamo e siamo in grado di difenderci. Aveva già una strategia militare nella testa. Si era inventato una cosa favolosa. Ogni settimana c’era il rosario alla Madonna di Lourdes dell’oratorio San Luigi. Qual era la particolarità? Alla decina Mapelli si fermava e passava le comunicazioni per cui al rosario trovavi pii e quelli che pii non lo erano per niente, anzi militavano nelle brigate Garibaldi. Il luogo del comando del Cln è l’asilo Petazzi, che vuol dire avere coinvolto le suore. E’ l’asilo che ho frequentato da bambino. Prendiamo un altro cattolico, forse il più deciso, Ernesto Mandelli. Da studente fa la Resistenza nelle brigate Garibaldi nel lecchese, rientrato diventa il  principale leader democristiano di Sesto San Giovanni. Morirà in Sicilia in un incidente stradale mentre si trovava in campagna elettorale del 18 aprile. Un libro sulla sua figura, scritto da un gesuita, titola Garibaldino e apostolo. Sapete come finiva i comizi sfidando i comunisti? «E voi del PCI per carità istruitivi», allora era una espressione veramente impressionante. Questo è il tipo di presenza. Poi c’è il problema attorno a Pio XII. La taglio corta. C’è un giudizio di Giuseppe Dossetti che trovate nella prefazione di Le querce di Monte Sole sull’ecidio di Marzabotto dove fondò la sua comunità. Nella prefazione avanza una critica molto esplicita a Pio XII. Fino a luglio era aperta una finestra per intervenire sui vescovi tedeschi contro il nazismo guidati da Von Galen, il leone di Munster, nobile, un personaggio molto importante. Nell’agosto quella finestra si era chiusa. Possiamo girarla come volete, ma quando gli alleati bombardarono Roma – il re, Badoglio e gli ufficiali sono tutti scappati a Salerno – l’unico che va nel quartiere di San Lorenzo è Pio XII. Ci saranno tutte le titubanze che volete ma ad un certo punto c’è una presa di posizione, ci sono tutti i conventi romani che proteggono e nascondono i fuori usciti di tutte le forze antifasciste e gli ebrei in particolare. Questo è il percorso. Capite cosa è stata davvero la Resistenza dei cattolici. C’eravamo anche noi? Certamente e tanti, ma soprattutto diffusi in una lotta popolare dove ognuno faceva la sua parte con le proprie idee e motivazioni. «I preti dell’oratorio». Un’altra figura molto importante in quella fase sono i preti dell’oratorio.  Sono importanti, non soltanto nel milanese, ma anche nel canavese, nel Piemonte, dovunque.  Questo perché i ragazzi di leva dopo l’8 settembre ’43 o vai nella Repubblica di Salò, o vai alla macchia. Qui è stato molto importante il ruolo dei preti nell’oratorio i quali orientavano. C’è un caso nel canavese di un prete che prende tutti i ragazzi dell’oratorio, quelli di leva, e li porta in una brigata. Poi si rende conto che sono un po’ troppo comunisti, dopo una settimana sale in montagna, riprende tutti i suoi giovani e li trasferisce nella nuova brigata di “Giustizia e libertà”. Un altro fenomeno è quello dei GAP (Gruppo Azione Partigiani). Il gappista dovrebbe vivere come un eremita, non deve avere rapporti, non farsi trovare. Succedeva che un giovane gappista fatto l’attentato, gli è riuscito, va all’osteria e lo beccano. Questo per dire quante sfumature ci sono dentro questa Resistenza. Ma anche quel ragazzo, giovane stalinista, quando è davanti al plotone d’esecuzione non grida viva Stalin, ma viva l’Italia, viva la democrazia. Questo è il popolo italiano che cresce e si sente uno. La Carta costituzionale. Tutto questo ha un momento di convergenza ed è la Carta costituzionale. Sono convinto che il vero regista della costituente sia stato Giuseppe Dossetti. Grande studioso, genovese, studia alla Cattolica, esperto di diritto canonico. Un personaggio incredibile. La costituente aveva una serie di gruppi. Il 9 settembre ’46 Dossetti si alza e dice una cosa che era nel cuore di tutti. Come facciamo noi che siamo così diversi a scrivere insieme una medesima carta costituzionale?  A letto nei cuori e nella testa di tutti quelli che c’erano. Allora Dosetti avanza una proposta da mettere alla base dei principi della nostra Costituzione: l’antifascismo o almeno l’afascismo. Si alza subito Aldo Moro, giovane giurista pugliese, che ha tre anni meno di Dossetti, dicendo ma che afascismo ma antifascismo e si trova l’unanime consenso. Moro verrà incaricato nel fare lo schema di tutta la Costituzione. Il senso della proposta di Dossetti era il seguente. Se il fascismo è stato il prevalere dello Stato rispetto alla persona – nell’enciclopedia italiana la voce fascismo porta la firma di Benito Mussolini, ma sappiamo che quella voce è stata scritta da Giovanni Gentile che era una grande testa, forse quella metafisica più fine del Paese – noi diciamo che la persona in democrazia prevale sullo Stato. Si alza Togliatti e dice “io non sono d’accordo sulla concezione di persona di Dossetti, però sono d’accordo nel mettere la persona a fondamento della nostra Repubblica. Questa è la soluzione, la trovano. Alla costituente c’erano dentro tutti, non è che abbassassero i toni, non è vero. Alla costituente l’articolo sulla famiglia passa per un voto. C’erano lotte , ma avevano tutti chiaro una cosa, venendo dalla guerra e dalla lotta di Liberazione, che bisognava comunque scrivere una Costituzione che andasse bene per tutti gli italiani. Che questo abbia l’imprinting di un cattolico come Dossetti dice come sia diffuso, costante. Non è un problema di numeri. Si è diffusa questa linea, questa presenza. D’accordo sul numero di preti uccisi, ma è un popolo che si muove e dentro ci sono i cristiani che animano, fanno la loro parte insieme agli altri. Questo mi sembra il modo di guardare alla lotta di Liberazione partendo da una quotidianità che è l’elemento che consente a chi non c’era, ma che una quotidianità comunque la vive, di avere un punto di vista, un termine di confronto". Conclusioni. La citazione di padre Davide Maria Turoldo, sul quale ci siamo intrattenuti un mese fa, è tratta da Salmodia della speranza, la più bella opera multimediale e teatrale, dedicata alla Resistenza. Qual è il pregio di quest’opera?  Le scansioni sono quelle della Messa e a livello di scrittura, nel senso della “s” maiuscola di Bibbia, ci sono passi dei condannati a morte della Resistenza europea veramente toccanti. L’altro prete che è stato richiamato è don Luisito Bianchi che ha scritto La Messa dell’uomo disarmato.  Se andate a leggere Turoldo o prendete le cose dette questa sera, il loro confronto con il libro di Luisito farà emergere due resistenze nel senso che un conto è la Resistenza nella città, nella metropoli, nelle fabbriche, e un conto è la Resistenza in campagna nel cremonese dove i tempi sono francamente molto diversi, persino i personaggi così come si presentano: il monsignore, il vecchio intellettuale mandato al confino. Le diverse facce della Resistenza. Tutte queste cose dicono di quante facce abbia la Resistenza. Non dimentichiamo che, con le quattro giornate Napoli si libera. O la brigata Maiella in Abruzzo. Una Resistenza che da conto delle mille città, dei borghi di questo Paese. Questo mi sembra un elemento estremamente importante da richiamare. Sempre di Turoldo c’è un pezzo più disteso, più saggistico, sulla Resistenza, si tratta della conversazione fatta con gli studenti in un istituto tecnico vicino a Brescia dove, cosa che spesso capita con gli studenti, perché si muovono, fanno casino, scatta tutta l’abilità di Turoldo nel cercare di attirare l’attenzione. Agli studenti dice che con la pontificia opera di assistenza ha visitato 27 lager.  «Camminavo su quella sabbia che era uscita per il camino. Tutto questo mi ha così impressionato che ancora oggi – qui Turoldo cerca proprio il colloquio con i ragazzi – non riesco a salire su una Volkswagen che è una macchina tedesca». Questa modalità di affrontare la Resistenza mi sembra molto importante che, tra l’altro, corrisponde al modo con cui i resistenti la vivevano. Per esempio Fabrizio Tagliabue, che mi ha passato dei pezzi usati nel libro e lo ringrazio pubblicamente, dice che suo padre non diceva alla mamma, o alla moglie, di tenere delle armi o cose compromettenti. Questo comportamento non era soltanto del padre di Fabrizio, uno dei leader dei cattolici della Resistenza sestese, ma anche dei comunisti. Dalle confidenze della moglie ricorda che pensavano fossero compagni del tre sette (gioco a carte). «Una grande lotta di popolo». A Sesto San Giovanni i circoli erano i luoghi dove è nata la Resistenza: il circolo cattolico a San Clemente, il circolo Progresso, il circolo Avvenire. Questo pullulare nei quartieri, nel territorio della Resistenza con questo tipo di comportamenti. E’ una grande lotta di popolo! Una delle cose per cui ho scritto il libro Resistenza senza fucile era per polemizzare un poco con Galli Della Loggia che alla fine del suo libro La fine della patria dice alcune cose intelligenti, ma altre che corrispondono all’idea che gli italiani hanno sempre bisogno di parlar male di se stessi. Al di là delle fazioni c’era una capacità di sognare la patria che era comune. Lo ritroviamo in un pezzo del marzo 1944 sulla prima pagina del New Tims dove si legge “Non è mai avvenuto nulla di simile (il richiamo è agli scioperi del ’44) nell’Europa occupata che possa somigliare alla rivolta degli operai italiani. E’ una prova impressionante che gli italiani, disarmati come sono, sanno combattere con coraggio e con audacia quando hanno una causa per cui combattere”. Guardate che il New Tims non lo leggeva nessuno, neppure Giorgio Napolitano, è un discorso fatto agli americani. All’inizio della seconda guerra mondiale nei confronti degli italo-americani vi fu una grande diffidenza. Alcuni li misero nei campi di concentramento che non erano evidentemente i lager tedeschi. Poi gli italo-americani hanno combattuto con tutti gli americani e le cose sono cambiate. Qui c’è tutta l’ammirazione. Un ultima cosa, riferita alla lotta di popolo nella quale si ritrovano dentro tutte le diverse fedi. «Noi cattolici abbiamo imparato a combattere senza odio». Aveva ragione Norberto Bobbio quando affermava che il nostro Paese era fatto di «diversamente credenti» dove i cattolici semmai hanno una caratteristica. Ho titolato il mio libro Resistenza senza fucile. I cattolici non è che fossero pacifisti, magari qualcuno sì. L’unico che ha partecipato a tutte le azioni disarmato è stato Giuseppe Dossetti sull’Appennino reggiano. Su quello modenese c’era Ermanno Gorrieri, sarà ministro del lavoro, che sparava cercando di mirare giusto. La differenza è in un’altra modalità di condurre la guerra, lo dice Gorrieri «Noi cercavamo di non fare stragi inutili e fare morti inutili». Chi definisce meglio questa modalità dei cattolici, ripeto non è pacifismo, combattendo senza armi, a mani nude, è Ezio Franceschini (sarà rettore dell’Università Cattolica di Milano) «Noi cattolici abbiamo imparato a combattere senza odiare». Non è che se prendi una pallottola da uno che non ti odia non ti fa secco, però è diversa la modalità, il modo di affrontare il nemico. Io avevo una grande amicizia con Sergio Zigliotti, uno dei capi sull’Appennino parmense, scomparso un anno fa e vice presidente dei partigiani cristiani. Faceva il liceo a Genova e trovandosi sull’Appennino parmense si è aggregato ai partigiani. Farà la maturità classica alla fine della lotta di Liberazione con un tema, che avrei voluto leggere, titolato Dante partigiano cristiano. Questo per dire qual era l’animo. Vado alla conclusione con un altro episodio raccontato dall’amico ebreo Stefano Levi Della Torre, grande architetto, uno dei rappresentanti della comunità ebraica milanese. Una volta mi spiegò, cosa che mi ha lasciato impressionato che suo padre, partigiano in Giustizia e Libertà, dopo la Liberazione si trovava con un amico delle brigate Garibaldi una volta al mese. Sapete cosa facevano? Una volta al mese uno sosteneva le ragioni dell’altro! Un esempio stupendo di che cosa può essere la democrazia, l’ascolto, la comprensione. Una di quelle modalità che, comunque collocate nella Resistenza, quelle persone hanno provato a combattere senza odio. Mi sembra davvero una cosa attorno alla quale riflettere. Se poi si viene all’oggi in un periodo nel quale si vendono armi a gogò. Pensate al viaggio di Trump in Arabia Saudita, contratti iper miliardari e con una scelta molto precisa dei Sunniti, ossia quelli che stanno con l’Isis. Per carità non è che gli Sciiti siano tutte brave persone. In una fase nella quel papa Francesco ci dice che è incominciata la terza guerra mondiale a pezzetti e capitoli. O questo papa dice barzellette ai funerali, o bisognerà prenderlo sul serio. Cos’è questa terza guerra mondiale? Mi viene in mente Carl Schmitt, grande giurista, perfino filo nazista, ma un’intelligenza acutissima, che negli anni ’60 disse «è incominciata la terza guerra mondiale». Ed è una guerra civile combattuta da terroristi: è la radiografia. I giovani della Rosa Bianca. Non voglio rovinare le notti a nessuno, ma quando uno va a scavare nella storia non è che si ferma a mettere un’altra lapide. Si chiede cosa stiamo costruendo, come è possibile. Chiudo con una bella immagine della piccola, ma importante, resistenza tedesca: La Rosa Bianca. Questi ragazzi di Monaco di Baviera, studenti, che si ritrovano alla sera per leggere i classici tedeschi, hanno fatto sei volantini in tutto che mettevano in giro, all’Università, nelle guide delle cabine telefoniche. La cosa stupenda è questa, li prendono e il tribunale del popolo nazista di Monaco di Baviera li giudica alla mattina e li ghigliottinano nel pomeriggio, tale il timore che potesse il contagio attecchire. Ma la cosa più bella e che uno dei ragazzi che vanno alla ghigliottina si rivolge all’altro e dice «comunque ci rivediamo fra dieci minuti». Uno che ha il fegato di dire una cosa così testimonia una speranza, che non è l’ottimismo, dove la speranza è tutt’altra cosa, dice qualcosa di estremamente positivo e motivante anche per l’oggi e per il futuro. Credo che riandare a vedere i fatti della Resistenza in questo modo ti arricchisce, non è soltanto fare memoria. La memoria è essenziale, ma è un modo per creare un punto di vista per guardare la vicenda per la quale, ha qualche titolo, siamo dentro per guardare in avanti». (Maggio 2017, sbobinatura e sistemazione a cura di Silvio Mengotto).

 

da ANPC Nazionale

 

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