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Dall’Italia: Le riflessioni del parlamentare europeo Paolo Bartolozzi sui costi della burocrazia PDF Stampa E-mail
Sabato 25 Novembre 2017 16:10

Dall Italia Le riflessioni del parlamentare europeo Paolo Bartolozzi sui costi della burocraziaCi scrive il parlamentare europeo onorevole Paolo Bartolozzi: "Caro amico, ti invio alcune riflessioni politiche sui costi della burocrazia. Cordiali saluti On. Paolo Bartolozzi. “Riflessioni politiche” Una tassa occulta chiamata burocrazia ammazza le imprese italiane: peggio di noi solo Brasile e Venezuela. In un recente studio Confindustria ha esaminato il costo che ha la burocrazia per il nostro paese: solo in Italia i tempi per aprire uno stabilimento sono superiori ai 4 anni. Ed in quanto ad oneri burocratici il World Ecomic Forum ci posiziona al 136° posto, davanti solo a Brasile e Venezuela. Lo  sappiamo  ormai  da anni,  ma  nessuno  sembra  voler  risolvere  seriamente  la  questione.  Uno  dei grandi  problemi  italiani,  uno  dei  peggiori  freni  alla  crescita  economica  e allo sviluppo dell’occupazione,  ha  un  nome  ben  preciso:  burocrazia.  La  burocrazia  è  la  grande  malattia  che colpisce  l’Italia,  una  palude  dalla  quale  nessuno ha  la  forza  (o  la  volontà)  politica  di  tirare  fuori  il Bel Paese. Recentemente  il  centro  studi  di  Confindustria-Assolombarda  ha  pubblicato  uno  studio  in cui  si esamina  l’impatto  della  burocrazia  sull’economia  italiana,  con  particolare  attenzione  ai  dati  relativi all’impatto  sul  fatturato  dei  costi  amministrativi nell’ottica  di  un  confronto  internazionale  con i  principali  competitors  europei.  Da  tale  studio  si  può  amaramente  notare  come  in  Italia  i  costi amministrativi  incidono  per  più  del  5%  del  fatturato  delle  imprese,  mentre  altrove  in  Europa, stando  al  campione  preso  in  esame,  non  hanno  un impatto  così  elevato.  Ma  purtroppo  vi  sono  dati ancora  più  preoccupanti.  Oggetto  dello  studio  sono  stati  anche  i  tempi  necessari  ad  un’impresa per aprire  uno  stabilimento,  fattore  fondamentale  nell’accrescere  la  competitività  economica  di un  paese  ed  attrarre investimenti. Anche sotto questo profilo purtroppo l’Italia primeggia in senso negativo poiché i tempi medi necessari all’apertura  di nuovi stabilimenti  superano i 4 anni. Da  anni  inoltre  il  World  Ecomic Forum  valuta  annualmente  la  competitività  globale  e  tra  gli indicatori  vi  è  l’onere  della  regolamentazione.  Nel  rapporto  2016-17,  per  questo  indicatore, l’Italia si è posizionata al 136° posto in classifica su 138. Peggio di noi solo Brasile e Venezuela. Si  tratta  dunque  di  un  vera  e  propria  impasse da cui non si riesce a venir fuori. Lo dimostrano anche i  dati  della  World  Bank  sulla  qualità  della  governance,  che  segnala  un  gap  di  oltre  10  punti  rispetto ai  paesi OCSE.  Durante  il  periodo  2013-2017  nessun  provvedimento  politico  ha  avuto  grandi effetti  nel  migliorare  la  situazione.  Anzi  col  passare  degli  anni  la differenza  si  è  allargata,  poiché nel  2013 questo scarto era del 10% mentre  nel  2015 è aumentato  fino  al 13%. Si  tratta  dunque  di  una  questione  di rilevanza  sia  economica  che  politica.  Il  problema economico  è  sotto  gli  occhi  di  tutti:  difficoltà  nell’iniziativa  d’impresa  ed  impossibilità  di  attrarre investimenti.  Il  problema  politico  invece  è  che  i governi a guida PD degli ultimi anni non hanno dimostrato  la forza  e la volontà di riformare  il sistema sotto questo profilo. Nel  suo  complesso  la  burocrazia  costa  alle  PMI  italiane 30 miliardi di euro l’anno, pari a quasi il  2%  del  PIL:  rendendo  l’apparato  statale  più efficiente  attraverso  un’opera  di  semplificazioni,  le imprese  potrebbero  arrivare  a  risparmiare  fino  al  25%  di  questa  cifra,  vale a dire 7 miliardi e mezzo  di euro, in base ai dati del rapporto presentato  da rete Imprese Italia. Per  quanto  attiene  invece  al  tempo  necessario  per  assolvere  agli  oneri  burocratici  in Italia  ogni  anno le  imprese  impiegano  per  la  burocrazia  269  ore,  ovvero  34  giornate  di  un  lavoratore  a  tempo pieno,  il  52%  in  più  della  media  dei paesi  OCSE  che  è  invece  pari  a 22 giornate. È indubbio quindi che  le  due  aree  su  cui  dovrebbero  concentrarsi  maggiormente  le  semplificazioni  sono lavoro  e fisco. Se  venisse  posta  in  essere  un’opera  di  semplificazione  efficace,  nel  giro  di  quattro  anni  si produrrebbe  un  aumento  degli  investimenti  e scenderebbe  la  disoccupazione.  Il  PIL  inoltre aumenterebbe  di  un  punto.  La  metà  di  questi  effetti  sarebbe  di  natura  permanente,  traducendosi  in uno strutturale  aumento della competitività  del nostro paese. Da  questo  quadro  emerge  quindi  come  vi  sia  una  sorta  di  tassa  occulta  nei  conti  delle  PMI italiane,  che  si  chiama  burocrazia  e  costa  circa  2  euro  l’ora.  Il costo della burocrazia fiscale per le  PMI  è  stimato  in  22  miliardi  di  euro  annui  dal  Centro Studi  CNA,  che  significa  5  mila  euro l’anno  a impresa, 16 euro al giorno.  Sotto questo profilo  l’Italia  detiene  il record negativo  nell’Ue. Il  “mostro”  della burocrazia  negli  ultimi  dieci  anni  ha  già  “divorato”  100  mila  imprese  agricole, costrette  a  chiudere  per  il  peso  opprimente  dei  tremendi  costi  e della farraginosità dei rapporti con la pubblica  amministrazione. Si  tratta  di  un  dazio  che  all’agricoltura  costa  oltre  7  miliardi  l’anno: per  la  singola  azienda equivale  a  due  euro  per  ogni  ora  di  lavoro,  20  euro  al  giorno,  600  euro  al mese,  7.200  euro  l’anno.  Un  “carico”  asfissiante  che  costringe  ogni imprenditore  agricolo  a produrre  ogni  anno  una  quantità  di  materiale  burocratico  cartaceo  che,  messo  in  fila,  supera  i  4 chilometri  e  ha  un  peso  che  sfiora  i  25  chili. A ciò si aggiunga che occorrono otto giorni al mese per riempire  i  documenti  richiesti  dalla  pubblica  amministrazione  centrale  e  locale.  Dati impressionati, frutto  di un’indagine  presentata  dalla  Confederazione  italiana  agricoltori. Asfissiate  da  questo  “peso”  il  25,5%  delle  aziende  agricole  è stata costretta  a  mettere  da  parte progetti  di  ammodernamento,  innovazione  e  ricerca,  mentre  il  21,5%  non  ha  compiuto  alcun  tipo  di investimento,  il 18,7% è  stato  costretto  a  ridurre  le  coltivazioni  e  il  10%  a  cessare  definitivamente l’attività. Anche  l’Unione  Europea  ha  sottolineato  come  la  riduzione  degli  adempimenti  burocratici  è  un fattore essenziale per promuovere  la creazione di posti di lavoro. In  Italia,  come  la  classifica  sulla  facilità  di  fare  impresa redatta  ogni  anno  dalla  Banca  mondiale testimonia  ampiamente,  l’eccessiva  burocrazia  rappresenta  un  limite  per  le  imprese,  costrette  a  fare i  conti  con regole  complesse  e  numerose,  con  tempi  di  risposta  lunghi  e  costi  consistenti.  In particolare,  tre  sono  gli  aspetti  chiave:  la  complessità  dei  procedimenti;  la  sovrapposizione  delle norme unita  alla discrezionalità  della loro applicazione;  la lunghezza  dei tempi autorizzativi. I  dati  del  primo osservatorio  sulla  Semplificazione  di  Assolombarda,  che  ha  quantificato  l’impatto delle  pratiche  e  degli  adempimenti  burocratici  più  gravosi  per  l’attività d’impresa,  certifica  che  il costo  della  burocrazia  può  variare  dai  108.000  euro  annui  nel  caso  delle  imprese  di  piccole dimensioni  ai circa 710.000 euro nel caso di un’azienda  media. Da questo quadro emerge la necessità di una regolamentazione intelligente, sensata e di qualità, ma la sinistra in questi anni non ha adottato misure concrete in tal senso. Dovrà essere allora il centrodestra,  se  vuole  vincere  le  prossime  elezioni  e  cambiare  l’Italia,  a  prevedere  nel  suo programma  di  governo  tra  le  priorità  una  riforma  della  burocrazia  fortemente  incentrata  sulla semplificazione,  volta  ad  eliminare  norme  inutili,  ad evitare sovrapposizioni  tra  i  vari  livelli burocratici  attuando  il  principio  della  sussidiarietà,  una  riforma  che  preveda  uno  spazio  più ampio  per  le  autocertificazioni e  riduca  i  costi  amministrativi  per  famiglie  e  imprese.  Una pubblica  amministrazione  quindi  non  più  vessatoria  ma  al  servizio  dei  cittadini,  in  modo  da favorire più occupazione  e più crescita. È  necessario  quindi  districare  il  groviglio  legislativo  con  cui  sono  quotidianamente  costretti  a confrontarsi  cittadini  ed imprese,  eliminando  le  sovrapposizioni  delle  normative,  favorendo  per quanto  possibile  l’istituzione  di  codici  e  testi  unici  che  regolamentano  le  singole materie,  ed attuando  una  concreta opera di delegificazione per mezzo dei regolamenti delegati. A ciò deve accompagnarsi  una  significativa  riduzione  dei  costi amministrativi  e  della  gravosità  dei procedimenti  connessi,  favorendo  dunque  un  sistema  basato  su  autocertificazioni  in  sostituzione  di molte autorizzazioni,  prevedendo  controlli  a posteriori. Solo  così  sarà  possibile  ottenere  una  semplificazione  delle  procedure,  eliminando  quei  lacci  e lacciuoli  che attualmente  sono  previsti,  in  modo  da  facilitare  coloro  che  vogliono  fare  impresa  e  le famiglie  nell’adempimento  dei loro doveri  di cittadini. On. Paolo Bartolozzi".

da on. Paolo Bartolozzi

 

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