Piacenza: La Storia si ripete! |
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Martedì 13 Febbraio 2018 16:37 |
Sono passati 40 anni dall'assassinio dell'on. Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse. Il 16 marzo 1978, giorno della presentazione del nuovo governo di Unità Nazionale, il quarto guidato da Giulio Andreotti, la Fiat 130 che trasportava Moro dalla sua abitazione nel quartiere Trionfale zona Monte Mario di Roma alla Camera dei deputati, fu intercettata da un commando delle Brigate Rosse all'incrocio tra via Mario Fani e via Stresa. Gli uomini delle Brigate Rosse uccisero, in pochi secondi, i cinque uomini della scorta (Domenico Ricci, Oreste Leonardi, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera, Francesco Zizzi) e sequestrarono il presidente della Democrazia Cristiana. Dopo una prigionia di 55 giorni nel covo di via Camillo Montalcini. le Brigate Rosse decisero di concludere il sequestro uccidendo Moro: lo fecero salire dentro il portabagagli di un'automobile Renault 4 rossa e gli dissero di coricarsi e coprirsi con una coperta dicendo che avevano intenzione di trasportarlo in un altro luogo. Dopo che Moro fu coperto, gli spararono
dieci volte uccidendolo. Il cadavere fu ritrovato nella stessa auto il 9 maggio a Roma in via Caetani. L'omicidio di Aldo Moro fu l'epilogo della Teoria della Tensione che gruppi estremisti avevano iniziato da tempo a mettere in atto, in una Italia in forte cambiamento, al fine di creare disordine e destabilizzare lo Stato e le Istituzioni con fini eversivi. E Aldo Moro rappresentava la più elevata figura del delicato sistema di rafforzamento della Democrazia nel nostro Paese. «Come conciliare l’estrema mobilità delle trasformazioni sociali con la continuità delle strutture rappresentative? Come integrare nello Stato masse sempre più «stese di cittadini senza cedere a seduzioni autoritarie? Come crescere senza morire?» Era il tentativo di mediazione politica a cui aspirava Aldo Moro. Nell'opinione di Moro la soluzione a tali quesiti non poteva non essere raggiunta che con un compromesso politico, ampliando l'esperienza dell'apertura a sinistra della DC nei confronti del PS1 di Pietro Nenni, avvenuta all'inizio degli anni sessanta. Proprio contro la teoria del confronto e l’apertura a sinistra si battevano le frange estremiste che valutavano come pericoloso per i loro disegni eversivi la pacificazione nazionale. A seguito della uccisione di Aldo Moro, a Piacenza il presidente provinciale dei Partigiani Cristiani, Felice Fortunato Ziliani, classe 1922 partigiano combattente e collaboratore di Enrico Mattei nell'AGIP. fece affiggere un manifesto dal titolo esemplificativo: «BRIGATISTI ROSSI E NERI UNITI PER DISTRUGGERE LO STATO DEMOCRATICO i primi hanno trucidalo Aldo Moro, i secondi cercano disperatamente di distruggerne la memoria». Quanto capitato a Piacenza lo scorso sabato 10 febbraio nel pomeriggio con la manifestazione di un gruppo di facinorosi che approfittano di confusi ideali spacciati per valori Costituzionali per creare disordine e destabilizzazione, ha la stessa matrice eversiva di allora, nulla a che vedere con l'antifascismo e la difesa della Costituzione, nulla a che vedere con la Patria e la Resistenza, ma ancora una volta: «BRIGATISTI ROSSI E NERI UNITI PER DISTRUGGERE LO STATO DEMOCRATICO». A tutti loro va espressa, indistintamente e senza nessuna possibile giustificazione, la ferma condanna da parte di tutte le forze democratiche e civili del nostro territorio, cosi come ben espresso e rappresentato dalla bella manifestazione, questa si “Contro tutti i Fascismi”, che si è svolta nella mattinata di sabato per le vie del centro cittadino. E come ricordava il manifesto del maggio 1978: «I Caduti per la Libertà di ieri e di oggi indicano la via da percorrere: quella dello Stato Democratico». Piacenza. 13 febbraio 2018 Mario Spezia Presidente Associazione Nazionale Partigiani Cristiani di Piacenza.
da ANPC Nazionale |