Macerata: Donazione di Pipino? Illusorie promesse? |
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Mercoledì 21 Luglio 2021 17:24 |
Il Centro Studi San Claudio al Chienti ha pubblicato una nuova informativa sulla vicenda dei Franchi in val di Chienti. Il Dott. Graziosi molto legato alla storiografia classica/tradizionalista oscura nella sua relazione, intenzionalmente, le novità storiche relative ai rapporti tra Papato, Longobardi e Carolingi introdotte dalla tesi del Prof . G. Carnevale, elaborata da una attenta rilettura delle fonti storiche. Riportiamo uno stralcio del libro nel quale vien definita “VAGHEGGIATA “ la Donazione di Pipino. Già a Roma nel 767 vi erano stati gravi disordini e le opposte fazioni avevano tentato di coinvolgere i Franchi e i Longobardi nelle loro contese. Stefano III, eletto papa il 1° agosto 768, quando aveva cominciato
a temere che la collusione tra Carlo e i Longobardi si sarebbe risolta a danno della Santa Sede e del vagheggiato Stato Pontificio, si era accostato a Carlomanno che, non ancora ventenne, già era in contrasto col fratello Carlo, forse infastidito dal suo protagonismo in Italia e stimolato da sua moglie Gerberga, figlia di re Desiderio. Nonostante l’attività diplomatica dispiegata dalla vedova di Pipino, il controllo di Roma si rivelò un inestricabile nodo gordiano fra i contrastanti interessi di Carlo, Carlomanno e Desiderio. Gli eventi precipitarono quando il 4 dicembre 771 Carlomanno morì, Carlo Magno riunì nelle sue mani tutto il regno dei Franchi e Gerberga, la vedova di Carlomanno, si rifugiò presso il padre Desiderio, che intanto aveva ripreso i tentativi di piegare con la forza il papa ai suoi disegni politici. Nel settembre 773 Carlo pose l’assedio a Pavia. I Franchi del Piceno, rimasti isolati ed esposti alle rappresaglie del nemico, sotto la guida del “nobilissimo” Hildeprand si rifugiarono a Roma presso papa Adriano, che li accolse, ma volle che si “romanizzassero” tagliando le fluenti capigliature barbariche e gli giurassero fedeltà, perché considerava le terre da dove erano fuggiti Patrimonium S. Petri. Perdurando ancora l’assedio a Pavia, Carlo Magno venne a Roma per incontrare i profughi e fissare con essi e con papa Adriano il futuro assetto sia del Piceno che di tutta l’Italia peninsulare. Il primo problema fu risolto procedendo all’immediata elezione a duca di Spoleto del “romanizzato” Hildeprand e, quanto al secondo, si fornì al papa una promissio che Roma avrebbe controllato tutta l’Italia peninsulare, con un confine che sarebbe andato dalla Cisa a Monselice. Né l’accordo per “romanizzare” subito il ducato di Spoleto, né la “promissio” sarebbero mai stati attuati. Lo avrebbero reso inattuabile lo sviluppo di Aquisgrana e l’ulteriore intensificarsi dell’insediamento franco nel Piceno. L’equivoco della configurazione politico-giuridica di Aquisgrana, teoricamente riconosciuta di pertinenza del Papato ma di fatto sede del nuovo Impero Romano d’Occidente, continuò a pesare sui futuri rapporti tra imperatori romani e papato. L’equivoco non fu mai sciolto. Prima di consacrare un nuovo imperatore Roma esigeva il rinnovamento della promissio poi tutto restava come prima. Solo la Chiesa della “Riforma” riuscirà, sulle rovine della Firmensis Monarchia e con la lotta per le investiture, a gettare le premesse del futuro Stato Pontificio.
da Centro Studi San Claudio |