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Rovereto (TN): Su “Vita Trentina” la storia di Don Guido Poda che salvò molte vite PDF Stampa E-mail
Giovedì 22 Luglio 2021 17:22

Rovereto (TN): Su “Vita Trentina” la storia di Don Guido Poda che salvò molte vite Un parroco che, come tanti altri, ha salvato molte vite: su "Vita Trentina" la storia di Don Guido Poda durante il rastrellamento di Albaredo del 22 luglio 1944. Una bella storia di resistenti senza fucile vicino Rovereto. “Albaredo è un ridente paesino della Vallarsa, che si trova a 700 metri di altitudine, a pochi chilometri da Rovereto. Nel luglio del 1944, infuriava la Seconda Guerra Mondiale con mezza Italia occupata dall’esercito tedesco. Il 22 luglio tutto il paese fu coinvolto in un episodio che, per pura fortuna, non si risolse tragicamente. Mariano Dalbosco aveva 13 anni quando, alle cinque del mattino di un giorno d‘estate, svegliatosi per andare in bagno, sentì arrivare in paese diversi automezzi. Guardò dalla finestra; un mezzo militare era fermo sulla strada nei pressi della chiesa, vide un soldato tedesco saltare la siepe del suo cortile ed entrare in casa con il fucile spianato! Possiamo solo immaginare lo spavento di un ragazzino in quella situazione. Sentiamo dalla viva voce di Mariano il racconto di questa vicenda: “Il militare che entrò in casa nostra fu abbastanza gentile, ci fece capire  che dovevamo scendere tutti in strada, immediatamente e senza discutere!”. “Uscimmo di casa. Diversi automezzi militari avevano bloccato tutte le strade di accesso al paese, dalle case attorno provenivano pianti ed urla, i soldati battevano sulle porte con i calci dei fucili, alcune famiglie furono buttate in strada con violenza, senza nemmeno il tempo di vestirsi. Uno degli ufficiali, quello col grembiule mimetico, aveva in mano un foglio. Scoprimmo più tardi che era una lista di 16 nominativi”. “L‘ufficiale tedesco iniziò a chiamare ad alta voce i nomi che erano sulla lista, e, dopo pochi minuti, i ricercati furono fatti mettere addossati al muretto che stava sotto la Scuola Elementare”. “Il sedicesimo uomo era mio zio, Gioacchino Dalzocchio, che si trovava in Zugna a  raccogliere legna. I tedeschi aspettarono parecchio il suo rientro; ad un certo punto, decisero di trattenere come ostaggio sua moglie, fino a che questi non si fosse consegnato. Dopo un certo tempo arrivò un camion su cui furono caricati tutti i prigionieri e portati nelle carceri di Rovereto”. “A parte gli uomini imprigionati, tutto sommato il paese l‘aveva scampata bella; capimmo dopo il motivo di quel rastrellamento, che avrebbe potuto portare anche a conseguenze ben peggiori, come le stragi di cui si aveva notizia in molte zone dell‘Italia occupata dai tedeschi”. “Provvidenziale fu la presenza, nelle varie fasi del rastrellamento, di don Guido Poda, curato ad Albaredo dall’anno 1932. Don Guido sapeva parlare il tedesco e riuscì fin da subito a rapportarsi con gli ufficiali responsabili dell’operazione. Un ufficiale informò don Guido che l’accusa, per i 16 sospettati, era di aver ospitato e collaborato con i partigiani. Il curato raccontò che i partigiani avevano solo cenato a pagamento presso l’osteria del Dopolavoro di Albaredo e che nessuno in paese poteva essere accusato di qualche legame o collaborazione con questi ultimi”. A questo punto Mariano cerca di ricordare la sera in cui un gruppo di partigiani si fermò a cenare al Dopolavoro gestito da suo zio Gioacchino. Lo aiutiamo col racconto presente nella bella pubblicazione “Il diradarsi dell‘oscurità. Il Trentino, i trentini nella Seconda Guerra Mondiale” (Edizioni Egon, vol. III, pag. 258), curata dal Laboratorio di Storia di Rovereto: si tratta proprio della testimonianza di Gioacchino Dalzocchio, resa nel corso di un processo intentato nel dopoguerra contro il presunto colpevole di delazione: “La sera del 6 luglio 1944 capitarono ad Albaredo 17 partigiani, guidati dal caposquadra Bonora di Rovereto, col nome di guerra Belfort – Brigata Garibaldi. I partigiani erano in borghese ma bene armati”. Ecco che i ricordi riaffiorano nella mente di Mariano: non è certo facile ricordare tutto dopo 77 anni! Adesso è un fiume in piena: “Sì, ricordo quella sera che arrivarono i partigiani! Avevano preso un maialino da un contadino di Foppiano e lo portarono al Dopolavoro gestito da mio zio per farselo cucinare. Ricordo che cantavano, qualche bicchiere di vino aiutava a dimenticare la guerra e la paura. Ad un certo punto da uno dei loro fucili partì anche un colpo verso il soffitto del Dopolavoro; pensate che al piano di sopra dormivano mia zia ed il suo piccolo bimbo. Furono fortunatamente solo sfiorati dal proiettile che si conficcò nel legno del tetto. Seppi poi che durante la notte i partigiani scesero a piedi verso Rovereto, e, nella zona della Mira di Marco, diedero fuoco a due automezzi militari tedeschi. A causa di una spiata da parte di una persona che era sfollata ad Albaredo, i tedeschi vennero a sapere tutto e si giunse al rastrellamento e all‘arresto dei 16 uomini di Albaredo, tra cui mio padre e mio zio“. “I 16 uomini rimasero per 5 giorni nelle carceri di Rovereto. Don Guido scendeva ogni giorno in città chiedendo di poterli visitare in carcere e cercando di parlare ed intercedere con il Comandante tedesco. Furono poi tutti trasferiti alle Carceri Giudiziarie di Trento, dove furono interrogati da due ufficiali delle S.S. Ormai eravamo disperati e si temeva che sarebbero stati fucilati o trasportati in Germania. Don Guido si recò spesso anche a Trento e fu alla vigilia di Ferragosto che, al suo ritorno in paese, ci portò la bella notizia che all‘indomani sarebbero stati rilasciati. Don Guido ci disse che la Curia di Trento si era molto prodigata per questa liberazione. Quando il giorno della Madonna li vedemmo arrivare (arrivarono a piedi da Trento) la gioia fu grandissima, tutto il paese era in festa; 16 uomini, padri, figli, mariti e fratelli erano tornati a casa!”.

da ANPC Nazionale

 

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